Caro lettore, posso continuare a tenere questa rubrica? E scrivere articoli esprimendo liberamente la mia opinione? Posta la domanda in altri termini, può un magistrato dire il proprio punto di vista, specie a proposito di materie che riguardano il suo settore di competenza, e cioè la Giustizia?
Domande retoriche? Perfino provocatorie? Mi dispiace, caro lettore, ma non sembra essere più tanto così. Perché, a leggere certi giornali degli ultimi tempi, certe dichiarazioni di autorevoli uomini politici ed opinionisti sul mio conto, sembrerebbe che l’ovvio non sia più scontato, che il diritto di esprimere le proprie opinioni soffra sempre maggiori limiti. Che il clima di intolleranza verso il dissenso stia crescendo in modo allarmante. E la cosa mi preoccupa tanto che, senza paura di nuove polemiche, sono indotto a ritornare sul tema.
Prima i fatti. Un anno fa scrissi un libro, certamente critico nei confronti del disegno di legge governativo di riforma delle intercettazioni. Ritenevo e ritengo l’intercettazione uno strumento indispensabile per svelare ogni forma di criminalità occulta, sia essa mafiosa o politico-economica. Ritenevo e ritengo la disciplina attualmente vigente in materia di intercettazioni perfettibile, specie al fine di preservare più efficacemente segreto investigativo e privacy degli intercettati, ma ritenevo e ritengo deleteria ogni ulteriore limitazione dei presupposti per avviare un’intercettazione. Ed in ogni caso eccessivamente restrittiva la disciplina che si vuole proporre nel progetto di riforma, al punto da giustificare il titolo, volutamente forte, intenzionalmente paradossale, dato al libro: “C’era una volta l’intercettazione”. Nel senso che, se passasse una legge così, l’intercettazione sarebbe un ricordo del passato. Ce ne dimenticheremmo per sempre.
Le polemiche non mi hanno risparmiato, contestandomi che i magistrati devono applicare la legge e non criticarla. Contestazioni diventate vere e proprie invettive e insulti, non appena mi sono permesso di accettare l’invito di alcune associazioni apartitiche come “Libera”, l’associazione delle associazioni antimafia di Don Luigi Ciotti, e “Art.21”, l’associazione di giornalisti che si batte per la libertà di stampa, a dire la mia in occasione della manifestazione in difesa della Costituzione tenutasi a Roma qualche settimana fa. In quell’occasione, ho espresso la mia opinione fortemente critica nei confronti della riforma costituzionale della Giustizia preannunciata dal Governo, manifestando tutte le mie gravi perplessità per i rischi che corrono principi fondamentali del nostro Stato di diritto come la separazione dei poteri, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Apriti cielo! Sono stato accusato delle peggiori nefandezze attribuibili ad un magistrato, mettendo in dubbio – fra l’altro – la mia imparzialità, l’offesa che più mi brucia.
Non voglio entrare nel merito della questione perché non è questa la sede. Quello su cui voglio richiamare la tua attenzione, caro lettore, è un altro profilo. Quello relativo all’intolleranza verso le opinioni dissenzienti. La cosa che più mi preoccupa dell’Italia di oggi è proprio questa: una crescente insofferenza verso chi la pensa diversamente, la difficoltà di confrontarsi con serenità e rispetto delle opinioni altrui. Al dissenso segue sempre più spesso l’aggressione del dissenziente. Per fare un esempio, come mai ai magistrati sembra essere consentito di esprimere la loro opinione solo quando è allineata con le vedute della maggioranza politica del momento? Non è un sintomo di patologia della nostra democrazia? Non comincia a divenire un po’ troppo illiberale questa insofferenza? Come mai si riconosce il diritto di replica agli uomini politici (è successo al ministro Maroni al quale è stato giustamente consentito di replicare alle affermazioni sulle infiltrazioni mafiose nella Lega Nord che aveva fatto Roberto Saviano in una trasmissione televisiva, o all’imputato Salvatore Cuffaro che ottenne, qualche anno fa, di poter replicare contro le accuse rivoltegli in altro programma), mentre ai magistrati non solo non viene riconosciuto analogo diritto di replica, ma anzi sembra – da parte di taluni, almeno – volersi negare perfino il diritto costituzionale di esprimere la loro opinione.
Io, da parte, mia, l’ho detto e lo ribadisco, rivendico il diritto di esprimere il mio punto di vista, in modo rispettoso nei confronti delle opinioni altrui. Un diritto che diventa addirittura un dovere verso i cittadini, e verso le altre istituzioni, quando concerne un tema che mi riguarda direttamente come magistrato, e cioè il futuro assetto costituzionale della Giustizia, ed i diritti fondamentali dei cittadini in materia di Giustizia. Come si dice, ormai come in un refrain, più che mai a proposito, questa volta: se non ora quando? Se non in questa situazione quando un magistrato può esprimere la propria opinione, non necessariamente adesiva rispetto alle posizioni governative? E tu, caro lettore, che ne pensi?