PALERMO – Gaetano Badalamenti, 53 anni, è un altro dei volti noti del blitz dei carabinieri che ieri ha portato al fermo di nove persone.
“Zio”, “il romano”, “Mangeskin” (di certo aveva una connotazione negativa): sono tanti i soprannomi con cui è conosciuto Badalamenti che ha riportato condanne irrevocabili per associazione mafiosa, rapina, ricettazione, estorsione, sequestro di persona, traffico di droga e armi.
Era il braccio destro del cugino Agostino Badalamenti, il boss sepolto con gli arredi funebri come si faceva con i faraoni. Solo che dentro la sua bara, riesumata nel cimitero di Santa Maria di Gesù su indicazione di un pentito, misero una pistola a tamburo e un pacchetto di sigarette. Gaetano Badalamenti si occupava di estorsioni.
Secondo i pm di Palermo, Badalamenti non ha rescisso i legami con la mafia. Dopo la scarcerazione nel 2013 si è messo a disposizione del nuovo reggente della famiglia di Palermo Centro, Francesco Mulè. All’inizio, però, ha cercato di ritagliarsi il suo spazio autonomo, puntando sull’amicizia con altri personaggi che contano come Nunzio Milano.
I Mulè non avrebbero gradito sempre la sua discrezionalità, ma si trovarono a “fronteggiare l’assenza sul territorio di molti sodali di spicco, detenuti”. Ed ecco che decisero di dimenticare i torti del passato. Giuseppe Mangiaracina, uno dei fermati, era del parere che Massimo Mulè aveva dato ampia libertà di azione: “Gli fu data troppa larga mano… non c’era nessuno…”.
Non sono mancati, però, i momenti di tensione. Massimo Mulè, pochi mesi fa, diceva: “Lo faccio a ping pong”. Nel frattempo si sarebbe occupato della riffa per raccogliere e mascherare il pizzo (“qui pagano tutti”: un lungo elenco), e controllare le piazze di spaccio.
Il pizzo si continua a pagare. Nessuno denuncia, nella parte centrale della vecchie Palermo come in periferia. Lo stesso silenzio era stato riscontrato a Brancaccio nei mesi scorsi.