Palermo, "qui pagano tutti": i boss e la contabilità del pizzo

I boss e l’elenco del pizzo a Palermo: “Qui pagano tutti”

Una sfilza di riferimenti ad attività commerciali e un'agenda segreta

PALERMO – Tre estorsioni accertate e una raffica su cui servono ancora riscontri. Tutto fa pensare, però, che si trattasse sempre e solo di pizzo. La “protezione” sarebbe stata imposta a tappetto a Ballarò, al Capo e alla Vucciria su ordine di Francesco e Massimo Mulè, padre e figlio, tra i nove fermati del blitz dei carabinieri.

“Qua pagano tutte le bancarelle

“Qua pagano tutte le bancarelle, Bangladesh…”, diceva Massimo Mulè che, secondo la Procura, avrebbe stabilito anche chi dovesse “aprire un ombrellone e vendere”.

Tra le vittime, il titolare di un bar in piazza Magione, di un ristorante del Foro Italico e un edicolante in corso Tukory. Sarebbero molti di più. E i loro nomi con le cifre pagate sono stati annotati in un’agenda conservata nel negozio di tolettatura di animali del nipote di Mulè.

“Poi chiudiamo il conto”, diceva l’anziano Mulè. E cominciava poi a rendicontare le somme di denaro, aiutato da Giuseppe Mangiaracina. Qualcuno aveva consegnato “3250… io ce li ho scritti! Io lo scrivo e lo nascondo”. E c’era chi pensava che il giovane Mulè facesse la cresta: “Invece lui si può fregare i soldi e se li frega”.

I conti non tornano

Anche Salvatore Gioeli, coinvolto nel fermo e vecchia conoscenza dei carabinieri per la sua militanza mafiosa, era convinto che i conti non tornassero: “U nicu (soprannome Massimo Mulè, ndr) dopo arrivava: ‘Tiè qua mille euro’, che devo fare con mille euro per andare a prendere 15 anni di carcere, il problema io dico essendo che ci dobbiamo salvare tutti, ci salviamo… Loro si prendono i soldi, bello chiaro chiaro! La strategia, quella che ho visto io, è questa… Mica io sono vincolato… Mi ha detto u Nicu di portargli i soldi e vedere cosa si doveva fare, minchia tutto lui… si sono salvati tutti, ma lì c’è un’associazione”.

Una sfilza di commercianti

Nelle conversazioni intercettate si fa riferimento a una sfilza di commercianti soggiogati al racket: “Quello delle torte… quello delle cassate… l’anziano cui avevano rubato un furgone… il fioraio, quello del Caf… un imprenditore che stava svolgendo attività edili di manutenzione… quello dei tavolini… quel tunisino che vendeva le sigarette sul tavolino… quello delle noccioline… quello a cui era morta la moglie… quello della pizza… quello di Piazza San Domenico… quello della via Borsa… carne, amico mio… pub… il pacchione, quello delle sigarette… quello dello sgombro”.

Spesso il pizzo viene mascherato con la riffa. Si sorteggia qualcosa e i mafiosi impongono l’acquisto dei biglietti. Coloro che li comprano “lo sanno che i soldi non è che ce li infiliamo noialtri in tasca”. Servono soprattutto a ad aiutare le famiglie dei detenuti.

Il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i sostituti Giovanni Antoci, Luisa Bettiol e Gaspare Spedale non hanno dubbi: in tanti pagano, e non ci sono state denunce.


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