‘Sanità in affanno’: titolo del dibattito, di scena a Palermo, ai Giardini del Massimo. Padrone di casa e organizzatore il parlamentare nazionale Davide Faraone (Azione-Italia Viva-Renew Europe). Parterre di oratori qualificati, alcuni ci sono. Altri no. Faraone prende di petto i problemi: “Dobbiamo occuparci dell’emergenza sanitaria, anche se viene negata. Ci sono quindicimila diagnosi non fatte di screening oncologici, siamo in crisi, anche se politica e informazione continuano a negarlo. C’è gente che rischia la pelle o muore. Noi abbiamo le nostre proposte per il personale, per i medici e gli infermieri, per assorbire l’arretrato, per azzerare le liste d’attesa”.
Le soluzioni (alcune), secondo quel punto di vista? “Dobbiamo favorire l’intramoenia e dare risorse, dobbiamo aiutare le strutture private che arrivano dove il pubblico, che è saturo, non ce la fa. Noi assumiamo medici non in base ai bisogni, ma a seconda dei soldi disponibili, che non ci sono. Il disastro è uniforme sul territorio nazionale, ovviamente al Sud, in particolare nella nostra terra, si partiva da dietro e si soffre di più”.
Un deficit non soltanto siciliano, ma generale che colpisce anche regioni ritenute anni luce avanti alla nostra. Il dilemma è sempre quello: pubblico o privato? Faraone invita a superare “la questione ideologica, perché c’è da dare soccorso alle persone e non si deve guardare la magliettina delle squadre in campo”.
Ma poi anche il dottore Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, quando tocca a lui, prende di petto la questione: “Sul servizio sanitario nazionale c’è un equivoco di fondo. E’ vero che chi sta molto male può essere curato in ospedale, ma in realtà il sistema non c’è, non funziona. Dobbiamo chiamare l’ospedale ancora azienda? Oppure, perché non lo chiamiamo ospedale che è meglio? Con l’azienda la prima responsabilità è il pareggio di bilancio, non l’obiettivo della salute. Se io sto economicamente bene, posso andare ovunque, altrimenti non posso andare in nessun posto”. Mancano i medici, ma, come ricorda il rettore dell’Università di Palermo, Massimo Midiri: “La formazione deve essere centrale, altrimenti non si risolve il problema”.
Le parole di Amato e Midiri sono punteggiate dagli applausi dei professionisti della Sanità, presenti in sala. Quelle mani battute sono un grido, nel cuore di un mondo avvinto dal disagio. Soffrono i pazienti che si sentono abbandonati. Soffrono quelli che vorrebbero curarli al meglio. E non possono. (rp)