Non portava la maglia numero Sette degli indimenticabili. Però a dieci anni si tuffò nell’Adda per salvare uno sconosciuto due volte più grande di lui. Era un Capitano nato, e si chiamava Valentino.
Da quel giorno in riva al fiume Adda visse e si preparò a condurre, a dare l’esempio, a suonare la carica, ad infondere entusiasmo a chi si aspettava da lui un gesto, una rotta, una direzione.
Fu soprattutto il capitano di una squadra di calcio con un aggettivo che ne accompagnava il nome: grande. Il Grande Torino.
Una squadra che esula dal tempo, perché lo cavalca, lo contrasta, lo aggredisce sulle ali, lo catapulta al centro dove trova qualcuno pronto a spingerlo in porta, costringendolo a capitolare.
Grande come le imprese umane che sfidano la probabilità e la statistica. Come le Grandi Cattedrali europee del medio evo che venivano fondate ed iniziate da chi sapeva che non ne avrebbe visto la conclusione. Grande come chi non tiene conto della statistica nelle scelte da compiere per capire se conviene o meno fare una certa cosa.
La probabilità che qualcuno calcola per verificare l’accadimento futuro di un certo evento non è altro che la misura della fiducia nel suo verificarsi. Una fiducia, ovviamente, che può essere ugualmente, bene e mal riposta. Il più delle volte le statistiche e gli scenari probabilistici che le supportano, sono palesemente falsi ma l’affidabilità scientifica dei numeri provoca la sospensione del buon senso.
La colpa non è dei numeri, costretti a prestarsi a questa pratica sub scientifica, ma dell’invenzione delle verità probabili, che, quando sono sinceramente ben confenzionate, funzionano meglio delle falsità, perché ingannano anche chi le produce. La statistica e le probabilità detengono il primato nel generare il banale e ignorano cosa possa essere la grandezza di tutto ciò che è epico.
Epico è quell’insieme di parole che nominano fatti e persone di cui non serve serbare memoria, perché come le Montagne, i Fiumi, i Mari sono impresse sulla Terra senza che si possano cancellare. Non si ricordano o si dimenticano: sono e basta. Non sono l’inconscio o il conscio della memoria collettiva, ma quel brivido reale e materiale che proviamo, senza averne memoria, quando un parto ci consegna al Mondo tra la placenta e la prima boccata d’aria.
Il Grande Torino è questo: vita allo stato prenatale. Gestazione infinita di un esempio di vita personale e collettivo così emblematico che si può solo provare a scalare o navigare, con tutti i rischi del caso. Quando settantuno anni fa l’aereo che riportava questa squadra di calcio a Torino da Lisbona si andò a schiantare sulla sola collina disponibile in quella zona del Piemonte, Montanelli, con grande lucidità, disse di stare tranquilli: “quei morti non sono morti. Sono solo andati in trasferta, a giocare una partita importante” Torneranno ogni volta che a noi servirà: quando ne avremo bisogno.
Oggi ne abbiamo bisogno.