PALERMO – Il fascicolo processuale sulla trattativa Stato-mafia si ingrossa. Sette nuovi faldoni di atti integrativi sono stati depositati dalla Procura di Palermo. Inevitabile che il giudice Piergiorgio Morosini rinviasse l’udienza al 15 novembre. Tra le nuove carte ci sono la testimonianza di Luciano Violante, ascoltato il mese scorso, quella di Angelo Siino, il cosiddetto ministero dei Lavori pubblici di Cosa nostra, e i verbali del dichiarante di Barcellona Pozzo di Gotto Rosario Pio Cattafi.
Depositata pure la lettera inviata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano da Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale morto a luglio scorso. Nella missiva, resa pubblica dal Quirinale, D’Ambrosio, finito sotto i riflettori per le sue conversazioni con l’ex ministro Mancino, esprimeva tutta la sua amarezza per la vicenda e ribadiva a Napolitano di non avere “mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze”.
Fa parte dei sette faldoni anche il resoconto di un interrogatorio del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo. “I cugini Salvo si sono rivolti ad Antonio Subranni per fare chiudere l’indagine sulla morte di Peppino Impastato”, ha messo a verbale il 12 settembre scorso l’ex boss di Altofonte. Ai pm palermitani ha ricordato di aver più volte visto il generale Subranni, ex capo del Ros e tra i 12 imputati nell’inchiesta, negli uffici dei cugini Nino e Ignazio Salvo, potenti esattori siciliani vicini alla mafia.
Sulla morte di Impastato, il militante comunista assassinato dalla mafia nel 1978, Di Carlo ha aggiunto che “Badalamenti spingeva Nino e Ignazio Salvo per parlare col colonnello. Dopo poco tempo Nino Badalamenti mi ha detto: no, la cosa si è chiusa. Non spuntava più niente nei giornali per un periodo, era stata archiviata”. Anche Totò Riina, dice il pentito, in un’occasione gli avrebbe parlato dei rapporti tra Badalamenti e il colonnello. In cambio, secondo Di Carlo, Subranni avrebbe ricevuto spinte nella sua carriera. Subranni, secondo quanto ha detto il pentito ai pm, non sarebbe stato affiliato a Cosa nostra: “Non può essere punciuto, possono essere amici, io ci ho mangiato, io c’ho bevuto con gente uguale, però loro avevano il loro mestiere e io avevo il mio segreto, non so se mi spiego”.
Il generale è stato anche sentito nei mesi scorsi dai pm che hanno riaperto l’indagine sull’omicidio Impastato per accertare eventuali depistaggi nelle indagini e ha ribadito la correttezza del suo operato nella conduzione dell’inchiesta.