PALERMO – “Non ho denunciato per non mettermi contro un altro clan di Palermo. Oggi lo sto facendo e forse la prossima volta non posso neanche venire in città”. A parlare in Tribunale è Riccardo Gennuso, deputato regionale di Forza Italia sotto processo per estorsione ai danni di tre dipendenti. Gennuso si sottopone all’esame del pubblico ministero. Secondo l’accusa, avrebbe minacciato di ritorsioni tre dipendenti della sala bingo che gestisce con i familiari nel rione Guadagna di Palermo qualora non avessero accettato condizioni sfavorevoli.
Gennuso, da vittima a imputato
Si tratta di un’attività finita al centro di un altro processo in cui Gennuso è stato parte offesa assieme al padre Giuseppe. Subirono una richiesta estorsiva dalla famiglia mafiosa dei Vernengo. I boss di Santa Maria di Gesù avrebbero incassato i soldi del pizzo dalla vecchia gestione della sala bingo e pretendevano che anche i Gennuso, subentrati nel 2015, mettessero mano al portafogli. La tassa da pagare era piuttosto salata: 50 mila euro per lasciare la gestione del bar all’interno della struttura. Bar che per altro non era formalmente di loro proprietà. “O pagavo o non so cosa mi succedeva. Avevo paura per me e la mia famiglia”, disse in aula il giorno della testimonianza.
Gennuso ha prima ricostruito la genesi dell’investimento. Aveva deciso assieme ai familiari, da sempre impegnati nel settore, di spostarsi da Rosolini, in provincia di Siracusa, a Palermo. La trattativa interessò i vecchi proprietari del Bingo Magic: Leonardo Burgio, sindaco di Serradifalco, la madre Daniela Faraoni, direttrice amministrativa dell’Asp di Catania, e la rappresentanza sindacale dei lavoratori. Fu Faraoni, il cui marito era grande amico di Pippo Gennuso- così racconta l’imputato – a chiedergli un aiuto perché rischiavano il fallimento.
Secondo i tre dipendenti, Riccardo Genusso li avrebbe costretti a firmare dietro minaccia: “O bevete o affogate, non troverete mai più lavoro altrove, troverete tutte le porte chiuse”. Gennuso oggi in aula va al contrattacco: “Minacce? Sono stato io vittima di estorsioni, mi hanno ammazzato i cani, mi hanno inseguito sotto casa (il riferimento è alla vicenda dell’altro processo). Non ho detto quelle frasi. Io non minaccio nessuno figuriamoci se lo facevo con l’ex compagna di un boss e ora compagna di un altro boss, un certo Serio”.
Il boss di Porta Nuova
Il Tribunale gli chiede a chi si stia riferendo: “Il compagno era Alessandro D’Ambrogio. Secondo voi io venivo da Rosolini e minacciavo la compagna di un boss?”. D’Ambrogio, capomafia di Porta Nuova, detenuto da anni, sarebbe stato sentimentalmente legato ad uno dei tre dipendenti che, aggiunge Gennuso in aula, “pretendeva tutti i soldi subito perché, così mi disse, aveva una persona dietro”. Finito l’esame dell’imputato il Tribunale ha rinviato alla prossima udienza per il controesame della difesa, rappresentata dagli avvocati Claudio Gallina Montana e Mario Fiaccavento. Gennuso avrebbe preferito continuare a rispondere oggi alle domande dei suoi avvocati perché “per quello che ho detto oggi la prossima volta devo venire scortato”.
Nei mesi scorsi Gennuso, onorevole di Forza Italia, aveva deciso di lasciare l’incarico di vice presidente della Commissione regionale antimafia. Ad accendere la miccia della polemica era stato il deputato regionale di “Sud chiama Nord” Ismaele La Vardera”.