PALERMO – Palermo c’è e ha risposto con gioiosa speranza al dolore di un commiato. Palermo si è inerpicata lungo la salita di via Decollati per raggiungere il cuore della Missione, qui dove Biagio Conte ha lasciato l’impronta dei suoi occhi azzurro-cielo. Un anno fa, in questi stessi luoghi, il missionario laico che non andò in Africa, come pensava, perché scelse la prossimità della sofferenza, chiuse gli occhi all’alba. Oggi, dentro un plumbeo 12 gennaio 2024, tanti che sono già stati qui ritornano per non dire addio. Per continuare ad abbracciare il sorriso di un uomo con il saio e con i sandali.
Don Corrado
C’è Don Corrado, così si fa chiamare, l’arcivescovo di Palermo. Fu lui a celebrare le esequie in Cattedrale, con la voce commossa e incrinata anche da un legame personale molto forte con Fratel Biagio. Ora è presente e la sua voce riecheggia tra le panche della chiesa della Missione.
“Biagio ha sempre ricordato questo a noi tutti, ai suoi amici, e – da vero cristiano, da battezzato – anche a tutta la Chiesa – dice Don Corrado nella sua omelia che trae l’incipit dal Salmo 88 – se gli uomini sono infelici e se nel condurre ogni nostro compito abbiamo talvolta l’impressione di essere stanchi e sconfitti, si tratta di un sintomo facile da riconoscere. È ciò che avviene quando non ci affidiamo a Dio e non cantiamo l’inno al suo amore che è fedele per sempre. Il salmista ci ricorda, come ha fatto tante volte Fratel Biagio, che l’uomo è fatto da Dio, che solo Dio è potente. Come l’orgoglio del mare si dissolve sugli scogli o verso riva, così l’orgoglio dell’uomo è illusione di potenza destinata a infrangersi. L’orgoglio è il grande peccato, il peccato delle origini: equivale a sentirsi grandi come Dio, non accettando di consegnarsi a Lui”.
L’omelia
L’omelia dell’arcivescovo vola alto, raccontando la semplicità di una vocazione: “Fratel Biagio ci ha creduto più di tutti, sin dall’inizio e fino alla fine perché lo ha fatto amando i poveri, che sono prediletti e protetti dal Signore, di un amore più. Per questo Papa Francesco lo ha definito «generoso missionario di carità e amico dei poveri». E l’unico tumulto che ha conosciuto è stato quello della voce che ha alzato, quello della provocazione che con la sua stessa vita ci ha lanciato, per spingerci – fino a mettersi in pericolo – a guardare quali e quanti scarti umani rischia di produrre una società che dimentica la fratellanza e trascura la Casa comune: sulle strade, nelle periferie geografiche e urbane, nei mari e nei valichi di frontiera”.
“Muoviamoci tutti insieme oggi, idealmente, dietro a Fratel Biagio – incalza Don Corrado -. Muoviamoci insieme, amata Chiesa di Palermo, perché l’onore che oggi rendiamo a Biagio non sia solo un fatto emozionale o di facciata, l’onore che si rende ai martiri in morte, ipocrita e stucchevole se non è accompagnato da una conversione autentica sulla via della testimonianza e della santità. Palermo attende che l’opera di Fratel Biagio venga proseguita e rafforzata. Ciò significa porre gesti di condivisione e, dunque, di liberazione, di consolazione, di profezia”.
Quelle parole
Ancora parole fortissime: “Fratel Biagio ha camminato alla luce del volto di Dio: ecco il segreto dei suoi occhi pieni di luce! Sono stati tra i primi occhi che ho incontrato, venendo a Palermo come vescovo. E con quegli occhi ho scambiato una promessa affinché questa comunità crescesse come insieme desideravamo”.
Interviene don Pino Vitrano il successore: “Abbiamo iniziato presi per pazzi ma oggi se sono tutti presenti significa che quella pazzia è un segno profetico di questa città”. E racconta di quando il missionario laico, nel 2017, cominciò uno dei suoi pellegrinaggi.
Palermo c’è. Ha ascoltato le parole del suo vescovo. I canti inondano la chiesa, mentre si sfila per la comunione. La benedizione viene impartita a una comunità commossa e partecipe. Scende la sera, come accadde un anno fa, sul dolore e sulla speranza. Ma non era, come questo non è, il giorno dell’addio.