L’attuale sistema di applicazione delle imposte dirette e dell’IVA in modo «forfettario», seppure frutto di numerosi esperimenti di forfettizzazione avvenuti negli anni precedenti, trova essenzialmente il suo fondamento nella Legge n.190 del 23 dicembre 2014 (la Legge di stabilità per il 2015) la quale, ai commi 54 e seguenti dell’articolo 1, aboliti i regimi dei «minimi» e delle «nuove iniziative», mantenendo comunque il regime per le imprese «startup» per i primi cinque anni di attività, ha introdotto un nuovo sistema forfettario per i contribuenti di modeste dimensioni.
Questo sistema, che rappresenta il regime naturale per i contribuenti in possesso dei requisiti d’accesso, è destinato alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti e professioni (in pratica alle «partite IVA») ed è subordinato all’esistenza di ricavi o compensi conseguiti nell’anno precedente per un ammontare non superiore a 85.000 Euro. E’ comunque possibile optare per il regime ordinario. Una volta stabilito il reddito imponibile, determinato applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività nella misura indicata nell’allegato n. 4 annesso alla citata legge e diversificata a seconda del codice ATECO, il codice che contraddistingue l’attivita’ esercitata (comma 64), il contribuente forfetario applica un’unica imposta, nella misura del 15%, sostitutiva delle imposte sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell’IRAP (comma 64 art.1 legge 190/2014). Per le “startup”, l’imposta sostitutiva applicabile per i primi 5 anni di attività è pari al 5%. Per i soggetti “in forfettario” sono previste diverse semplificazioni, come l’esonero dal pagamento dell’IVA (tranne che nel caso di versamento conseguente all’effettuazione di acquisti intracomunitari o di altre operazioni per le quali l’imposta si versa con il sistema del “reverse-charge”); l’esonero dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili, fermo restando l’obbligo di certificare i corrispettivi con le consuete modalità; c) esonero dall’IRAP; l’esonero dall’obbligo di effettuare o subire la ritenuta d’acconto.
Esistono, comunque, diverse cause ostative, espressamente elencate alle lettere a, b, c, d, d-bis e d-ter del comma 57 dell’ articolo i della citata legge 190 del 2014, e successive modificazioni. C’è da dire, al riguardo, che, dopo la sua introduzione, il regime forfettario ha subito diverse evoluzioni, poche positive e molte negative. Quella positiva potrebbe essere quella contenuta nella legge di bilancio per il 2023, che ha elevato da 65.000 a 85.000 Euro il limite per la sua applicazione (purtroppo è stata abrogata la disposizione che prevedeva l’estensione fino a 100.000 Euro).
Altre cause ostative erano state pure eliminate, ma, proprio come fa il gambero, spesso il Legislatore prima fa un passo avanti e poi ne fa un altro indietro. Così, dopo essere stati eliminati, sono stati poi reintrodotti i “paletti” riguardanti a) La percezione di redditi di lavoro dipendente ed assimilati
d’importo superiore a 30.000 Euro (comma 57 lettera d-bis); b) Il sostenimento di spese per personale dipendente d’importo superiore a 5.000 Euro (comma 54 lettera b). Andando più avanti, con la legge di Bilancio per il 2023 (Legge 29 dicembre del 2022, numero 197), è stato pure stabilito che, a partire dall’anno 2023, il superamento del limite di 100.000 euro comporta l’immediata cessazione del regime forfetario a partire dal momento stesso del superamento e, conseguentemente, la possibilità di rettificare – nella dichiarazione Iva relativa all’anno del superamento – l’imposta non detratta in costanza di regime
forfetario. Ed ancora, con il Decreto-legge 36/2022, contrariamente a quanto avveniva nel periodo precedente (fino al 2022), periodo nel quale tutti i contribuenti in regime forfettario erano dispensati dall’obbligo di fatturare elettronicamente, nel 2023 (solo per quell’anno e solo a decorrere dal 1^ luglio) sono rimasti esentati esclusivamente i soggetti con ricavi o compensi d’importo non
superiore a 25.000 Euro.
Tutti gli altri, che superavano la predetta soglia, dal 1^ luglio 2023 erano obbligati alla fatturazione elettronica come gli altri contribuenti “ordinari”, a meno che non si fosse oggettivamente dispensati dalla legge come coloro i quali sono obbligati ad inviare all’Agenzia delle Entrate i dati necessari per la predisposizione della dichiarazione “precompilata”, come i sanitari obbligati alla comunicazione al Sistema Tessera Sanitaria fino a tutto il 2024. Ma con lo stesso decreto legge n.36/2022, è stato introdotto l’obbligo generalizzato di fatturazione per tutti i forfettari a partire dal 1° gennaio 2024 (tranne i soggetti, di cui si è detto prima, oggettivamente dispensati dalla legge, come quelli obbligati alla comunicazione al Sistema tessera Sanitaria).
Tornando ad alcune delle cause ostative per l’applicazione del regime forfettario è opportuno porre l’attenzione sul “paletto” ostativo che ne impedisce l’applicazione nel caso in cui nell’anno precedente sia stato conseguito un reddito di lavoro dipendente o assimilato (come il reddito di pensione) superiore a 30.000 Euro. Per la verità si tratta di una condizione molto criticata, perché, di fatto, impedisce a molti professionisti, che sono in pensione e che, per il ruolo svolto quando erano dipendenti, riscuotono una pensione superiore a 30.000 Euro, di applicare il detto regime di favore. Accade, infatti, che molti di questi soggetti, che sarebbero disposti a svolgere, dopo la cessazione del rapporto di lavoro dipendente, un lavoro professionale, preferiscono evitarlo, non solo perché impediti a versare il tributo forfettario del 15%, ma principalmente per non imbattersi nei numerosi adempimenti che il regime ordinario comporta.
Al riguardo sono stati forniti diversi chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate la quale, con specifico riguardo alla causa ostativa prima cennata, ha tenuto ad evidenziare che tale motivo ostativo al regime di favore non è applicabile (perché espressamente previsto dalla legge) nel caso di cessazione dell’attività
nell’anno precedente a quello nel quale ci si vuole avvalere del regime forfettario. Va da se, comunque, che, evidentemente, tale particolare deroga favorevole al contribuente (la mancanza dell’obbligo di verificare il raggiungimento della soglia ostativa di 30.000 Euro di redditi di lavoro dipendete) è possibile solo per il primo anno, in quanto giustificata, così come chiarito dalla circolare n.10
del 4 aprile 2016, dalla ratio della disposizione, che ha il fine di incoraggiare il lavoratore rimasto senza impiego e senza trattamento pensionistico mediante la concessione di agevolazioni fiscali.
Per gli anni successivi, la verifica del mancato superamento della soglia dei 30.000 Euro di reddito di lavoro dipendente o assimilato conseguito nell’anno precedente diventa indispensabile per l’accesso al regime di favore. Volendo comunque soffermarsi sulla predetta soglia di 30.000 Euro, specialmente nel caso in cui sia stato percepito, sempre nell’anno precedente, un reddito di pensione, si ricorda che è la stessa legge (il comma 57 della legge 190/14 e successive modificazioni) che, all’ultima parte del comma, stabilisce che “la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”, norma sulla quale sussistono grosse perplessità interpretative. Il testo letterale della suddetta disposizione sembrerebbe affermare che, in ogni caso (ossia mai), se il rapporto di lavoro subordinato è cessato l’anno precedente, al fine di stabilire se si è nelle condizioni di applicare il regime forfettario la “verifica” della soglia (superiore o inferiore a 30.000 Euro), non va fatta. In pratica, nella ipotesi ora citata (rapporto di lavoro dipendente cessato nell’anno precedente), non scatterebbe mai la causa ostativa in commento. Ciò per agevolare i contribuenti che, avendo perso il lavoro, vogliono intraprendere un’altra attività. Ed a tal proposito la Circolare n. 32 del 5 dicembre 2023 ha ribadito semplicemente che ”l’accesso al regime agevolato in esame è in ogni caso precluso ai soggetti che: […] nell’anno precedente, hanno percepito redditi di lavoro dipendente e/o assimilati di importo superiore a 30.000 euro, tranne nel caso in cui il rapporto di lavoro dipendente sia cessato nell’anno precedente”.
Non giova all’interpretazione la più recente risposta ad interpello n. 50/2024, considerato che, nel caso prospettato dal contribuente, nell’anno precedente non era stata percepita alcuna pensione, quindi il problema di cui ora parliamo non si poneva. Eppure, leggendo altri numerosi documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate (specialmente la risposta ad interpello n. 427/2021), la norma potrebbe essere interpretata in modo diverso, ossia che il reddito “assimilato”, ovvero quello di pensione, dell’anno precedente (cioè dell’anno in cui si è lasciato il rapporto di lavoro dipendente), assume rilevanza ai fini dell’esistenza della causa ostativa al forfettario solo se d’importo superiore a 30.000 Euro. Una soluzione,
quest’ultima, che potrebbe avere un senso logico. Nella citata risposta ad interpello n. 427, infatti, l’Agenzia dice, tra l’altro, che, “Alla luce di quanto sopra, si ritiene che l’istante, per effetto dell’applicazione dell’articolo 1, comma 57, lettera d-ter della legge n.190 del 2014, avendo percepito nel 2019 reddito di pensione superiore a 30.000 Euro, sia decaduta dal regime forfettario a partire dal 2020”. Come se il divieto fosse condizionato dall’esistenza di una pensione superiore a 30.000 euro. Tenendo, in pratica, distinti (ai fini della verifica della “soglia”) il reddito di lavoro dipendente da quello “assimilato” (pensione). Evidentemente se in tale circostanza l’Agenzia avesse scritto solo “avendo percepito nel 2019 reddito di pensione”, e basta, ossia senza alcun riferimento all’importo della pensione, allora il dubbio sarebbe stato subito dissipato, nel senso che basta aver percepito un qualunque reddito di lavoro assimilato al lavoro dipendente (pensione) per fare scattare la causa ostativa, anche se il rapporto di lavoro dipendente è cessato.
Quest’ultima ipotesi, per la verità mai valutata concretamente dall’Amministrazione Finanziaria, costituisce evidentemente una terza interpretazione, quella più negativa per i contribuenti che vorrebbero accedere al regime forfettario, nel senso che l’esistenza, sempre nell’anno precedente a quello per il quale si vorrebbe adottare il regime forfettario, di un reddito di pensione, di qualunque importo (anche inferiore a 30.000 Euro), rappresenterebbe sempre motivo di esclusione dai soggetti ammessi al regime agevolativo in parola. A questo punto un chiarimento ufficiale dell’Agenzia delle Entrate sarebbe veramente opportuno, onde evitare che molti contribuenti si pongano in una situazione irregolare e, quindi, sanzionabile. Speriamo che tale chiarimento arrivi veramente presto, magari con una norma legislativa di interpretazione autentica.