“È colluso come suo figlio”: ordinato l’arresto di Raciti

“È colluso come suo figlio”: ordinato l’arresto di Raciti

Ma l'imprenditore resta libero

CATANIA – La sua ipotizzata collusione con la mafia dovrà essere dimostrata al processo. Intanto il Tribunale ha ordinato l’arresto dell’imprenditore catanese Carmelo Raciti, come già deciso per suo figlio Salvatore. Per il momento i giudici della quinta sezione penale, in sede cautelare, hanno stabilito la “contiguità” di entrambi al clan Cappello, precisamente al gruppo dei Carateddi.

Per il momento il provvedimento, firmato dalla presidente Laura Benanti, non è esecutivo. Per il momento in pratica l’arresto non scatta, perché il gip aveva detto no all’arresto e allora scatterebbe, l’esecuzione dell’ordinanza, solo nell’eventualità che essa passasse in giudicato (tecnicamente si chiama “giudicato cutelare”). Per il momento, in pratica, restano liberi entrambi.

Imprenditori della movida di Catania, a loro sarebbero riconducibili alcuni locali importantissimi del mondo dei giovani tra pub, discoteche e esercizi d’altro tipo. I due sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ordinanza è stata chiesta dai pm Tiziana Laudani e Andrea Bonomo, nonché dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo.

I rapporti con il clan

Eppure per i giudici godevano di rapporti privilegiati con esponenti mafiosi e “si adoperavano per il rafforzamento della consorteria”. Carmelo Raciti sarebbe stato vicinissimo a Maurizio Zuccaro, un boss del clan Santapaola Ercolano. Ma a un certo punto avrebbe iniziato a rapportarsi con il gruppo di “Pippo ‘u Carruzzeri”, dunque con i carateddi, poi con altri capi del clan Cappello. Il rapporto sarebbe consistito in favori reciproci.

Gli esponenti del clan entravano gratis nei locali. E al tempo stesso otteneva protezione. Una protezione non efficacissima, si direbbe, considerato che comunque nei locali sarebbero scattate lo stesso delle risse, dei furtarelli o dagli incendi estivi, peraltro neppure dolosi, che si sarebbero registrati a ridosso di uno stabilimento balneare riconducibile a loro.

La sua “fortuna”

L’accusa, in pratica, sostiene pure per Raciti padre – così come avvenuto qualche giorno fa nell’analoga ordinanza sul figlio – l’assunto che le sue fortune, sostanzialmente, fossero “targate” Cosa nostra, prima, poi clan Cappello. Cosa che lui ha negato seccamente. Ha sostenuto che tutto era partito da una discoteca estiva che “aveva prodotto lauti guadagni”. Da lì aveva rilevato un lido balneare.

Ha detto che la sua politica, in pratica, era lasciar intendere ai mafiosi di poter ottenere degli sconti, ma i prezzi bassi li praticava con tutti.

La nota dell’avvocato

L’avvocato Giorgio Antoci, difensore di Salvo Giuseppe, nato a Catania in data 18 marzo del 1949, giusto il disposto dell’art. 8 L. 47/48, la invita voler disporre la rettifica dell’articolo pubblicato su questa testata in data 28 marzo del 2024, a firma del giornalista Josè Trovato e recante titolo “È colluso come suo figlio: ordinato l’arresto di Raciti”, poiché i fatti narrati, seppur tratti dall’ordinanza emessa ex 310 CPP dal Tribunale per il Riesame delle Misure cautelari personali di Catania, non appaiono né contestualizzati nel tempo, né, tantomeno, rispondenti alle verità processuali accertate con sentenze passate in giudicato.

Invero, l’inciso contenuto nell’articolo, secondo cui gli indagati Carmelo e Salvatore Raciti “… per i giudici godevano di rapporti privilegiati con esponenti mafiosi e “si adoperavano per il rafforzamento della consorteria”, Carmelo Raciti sarebbe stato vicinissimo a Maurizio Zuccaro, un boss del clan Santapaola Ercolano. Ma a un certo punto avrebbe iniziato a rapportarsi con il gruppo di “Pippo ‘u Carruzzeri”. dunque con i carateddi, poi con altri capi del clan Cappello. Il rapporto sarebbe consistito in favori reciproci….”, è fedele dei contenuti resi nel provvedimento cautelare, ma manca sotto il profilo della contestualizzazione.

Invero, i fatti ivi narrati non coinvolgono certo la figura del Giuseppe Salvo, estraneo al narrato reso in sede cautelare e non ne determinano l’eventuale concorsualità, che resta mera asserzione sfumata nel tempo, peraltro mai adombrata nel corpus del detto provvedimento. Sotto diverso profilo, quanto asserito nell’articolo è smentito dalla sentenza nº 72/2022 resa dal GIP Dott. Montuori nell’abito del procedimento 07/2017 R.G.N.R. 9033/2020 R.G.GIP. all’udienza del 26 gennaio del 2022, con cui il Salvo Giuseppe fu assolto dall’imputazione ascritta al capo uno della rubrica, ove si contestava la compartecipazione necessaria dello stesso, con ruolo non qualificato nel delitto di cui all’art. 416 bis CP, commesso sino al febbraio del 2019, in quanto ritenuto affiliato all’associazione di tipo mafioso denominata “Cappello/Carateddi”.- Ciò esclude la conducenza dell’articolo in ordine al ruolo qualificato riconosciuto al Salvo.


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