Sistema Montante, slitta la sentenza per l'ex paladino dell'antimafia

Sistema Montante, slitta la sentenza per l’ex paladino dell’antimafia

Antonello Montante
Chi sono gli imputati e le accuse

PALERMO – Slitta al 30 ottobre la sentenza per l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante che ha fatto ricorso in Cassazione contro la condanna a 8 anni di reclusione inflitta dalla Corte di appello di Caltanissetta. In caso di conferma Montante andrebbe in carcere.

Nel corso della requisitoria il sostituto procuratore generale di Cassazione Elisabetta Ceniccola ha chiesto la conferma della condanna.

L’atto finale riguarda anche il capo della security di Confindustria Diego Di Simone (condannato a 5 anni) e il sostituto commissario Marco De Angelis (3 anni e 3 mesi).

Montante è imputato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. In primo grado l’ex paladino dell’antimafia era stato condannato a 14 anni di reclusione.

Montante, la sentenza di appello

Avrebbe messo in piedi un sistema di potere, così c’era scritto nella motivazione della sentenza di appello, “grazie a una ramificata rete di relazioni e complicità intessuta con vari personaggi inseriti ai vertici dei vari settori delle istituzioni”

Avrebbe sfruttato potere e relazioni per stare “al centro di un’attività di dossieraggio realizzata, anche grazie a complicità eccellenti, attraverso l’accesso alla banca dati delle forze dell’ordine e finalizzata a ricattare nemici, condizionare attività politiche e amministrative e acquisire informazioni su indagini a suo carico”.

A Caltanissetta è in corso un secondo processo in cui Montante è imputato assieme ad imprenditori, altri esponenti delle forze dell’ordine e della politica.

Da una parte le ipotesi di reato emerse nel corso delle indagini e del processo, dall’altra gli interessi superiori rimasti occulti. Si muoveva su due linee di ragionamento la sentenza d’appello.

L’ex leader di Confindustria, secondo l’accusa, “raccoglieva informazioni e le custodiva”, “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”, “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso. In contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici, non tanto del territorio, ma della Regione e del Paese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”.

“Appoggi istituzionali”

C’è dell’altro però: “Dietro la coltre fumosa della locuzione ‘sistema’ – si leggeva nella sentenza – si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni”.

La motivazione di appello

Un ruolo che “egli avrebbe potuto assicurarsi solo se in sede locale fosse stato in grado di far leva su un suo personale potere di influenza, di condizionamento o di ricatto nelle dinamiche del territorio, ma che, proiettato in sede nazionale (e non solo), non poteva che trovare origine nella corrispondenza strategica tra il suo operato ed altri interessi e obiettivi”.

Egli stesso si è autodefinito un “utile idiota perché incentivato ad assumere una tale posizione”. Da chi? “Nemmeno lui ha voluto meglio precisare”.

È in corso a Caltanissetta il processo bis a Montante nel corso del quale è stata dichiarata la prescrizione per Renato Schifani, l’ex capo del Sisde Arturo Esposito, il professore Angelo Cuva e per il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece. La Procura riteneva che attraverso di loro, in maniera diretta o indiretta, Montante avesse saputo dell’inchiesta a suo carico.

Il dibattimento prosegue per gli altri imputati e riguarda anche l’ipotesi che Montante manovrasse nell’ombra condizionando le scelte politiche e amministrative del governo di Rosario Crocetta.


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