Povero Alessio Dionisi che ripete le parole che tutti gli allenatori ripetono, quando non sanno cosa dire. Sembra il tenente Giovanni Drogo de ‘Il deserto dei tartari’, alle prese, nella sua fortezza, con un orizzonte indecifrabile. Sembra il generale in attesa di rinforzi, quando infuria la mischia, ma non arriverà nessuno.
E lo capisci, comprendi la desolazione del tecnico, al cospetto di un doloroso rompicapo, che discetta di ‘pallino del gioco’. Caro Alessio, il ‘pallino del gioco’ è un concetto di proporzioni infinitesimali, mentre sul popolo rosanero cala un sentimento di rassegnazione che è perfino peggiore della rabbia, beninteso: civilmente espressa.
Povero Palermo, poveri tifosi. Ogni volta che l’hostess del campionato offre eventi che somigliano all’annuncio di un decollo, ecco che arriva il violentissimo atterraggio delle illusioni. A battaglie sportive e risultati capaci di rinfocolare l’entusiasmo degli audaci seguono prestazioni calcisticamente agghiaccianti.
E poi i sussurri, le crepe, il verosimile malcontento di Brunori, ieri eroe, oggi esule a cui aggrapparsi, magari per dimostrare che con lui non cambia niente. Il malmostoso sentimento di ira repressa che, talvolta, pare di cogliere, oltre le dichiarazioni ufficiali. Tutto un andazzo malinconico, già vissuto e, francamente, insopportabile.
Ora, i tapini che indossano la sciarpetta rosanero, che esercitano il loro amorevole e libero arbitrio di tifo, in casa, come in trasferta, non hanno mai preteso una sfolgorante cavalcata trionfale. Vorrebbero (vorremmo) una squadra degna di questo nome. Non un coacervo di figurine che recitano a soggetto, in rappresentazioni agonisticamente anemiche, sottoposte alla ventura del pallone.
Ma è una speranza finora vana. La fortezza rosanero si è sbriciolata. Urge mettere da parte malumori e algoritmi. Per guardarsi negli occhi.