PALERMO- “Plurime omissioni” e una “deliberata strategia di inerzia” contraddistinsero l’azione dei carabinieri del Ros nelle indagini sulla ricerca del boss Bernardo Provenzano. Lo ritiene il pm Nino Di Matteo che sta tenendo la requisitoria al processo al generale Mario Mori, ex vice comandante dei reparto speciale dell’Arma e del colonnello Mauro Obinu: entrambi sono accusati di favoreggiamento aggravato della mafia. Dietro al fallito blitz dell’ottobre del ’95 a Mezzoiuso, che secondo il pm avrebbe potuto portare alla cattura del capomafia, ci sarebbe stato un piano preciso: lasciare libero il boss in nome della trattativa che lo Stato avrebbe avviato con Cosa nostra dal ’92.
Di Matteo ha parlato di “strategia dolosamente e ostinatamente preordinata a proteggere la latitanza di Provenzano”. Il magistrato ha ricordato le dichiarazioni dei pentiti Nino Giuffré e Stefano Lo Verso sulle voci che ricorrevano in Cosa nostra relativamente a rapporti tra Provenzano e autorevoli esponenti delle forze dell’ordine e in particolare dei carabinieri.
Il pm ha citato le dichiarazioni di Giuffré sui sospetti che in ambienti di Cosa nostra c’erano sul fatto che Provenzano fosse un confidente dei carabinieri. “Cosa tutt’altro che rara nella mafia”, ha detto Di Matteo che ha ricordato, tra gli altri, il caso del boss Tano Badalamenti noto per i suoi rapporti con militari dell’Arma. Dei legami del padrino di Corleone con i carabinieri ha parlato anche Luigi Ilardo confidente ucciso prima che formalizzasse la sua collaborazione con la giustizia. Avrebbe detto a Michele Riccio, l’ufficiale che indagava su Provenzano, dei suoi rapporti con i carabinieri.
(Fonte ANSA)