PALERMO – “Le recenti dichiarazioni rilasciate dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, in occasione di una conferenza stampa, a commento di una sentenza pronunciata dalla quarta sezione penale del Tribunale di Palermo in esito ad un delicato e complesso processo svoltosi nei confronti di un noto ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, lasciano assai perplessi circa il metodo utilizzato per sviluppare la critica della decisione. La pubblica accusa ha facoltà di proporre impugnazione e illustrare nell’appello tutte le argomentazioni utili a dimostrare la fondatezza della tesi accusatoria e, per converso, la illogicità delle ricostruzioni in fatto e in diritto operate dal giudice. E’ il processo, per un magistrato dell’ufficio del Pubblico Ministero, l’unica sede deputata per conseguire la riforma della decisione che comunque deve essere sempre rispettata”.
A bacchettare il procuratore aggiunto Teresi, che aveva duramente criticato le motivazioni della sentenza di assoluzione del generale Mario Mori dall’accusa di favoreggiamento alla mafia, è la Giunta distrettuale dell’Anm di Palermo. “Il rispetto per le sentenze – si legge in una nota – costituisce espressione di un principio al quale sono chiamati ad informarsi innanzitutto proprio i magistrati di ogni ordine e grado. Il rispetto per il giudice ne costituisce ineludibile corollario, presidiato tra l’altro dall’art. 1 dello Statuto dell’Associazione Nazionale tra i Magistrati Italiani, che prevede appunto, tra gli scopi dell’associazione stessa, quello di tutelare gli interessi morali dei magistrati, nonchè il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria che sono ai primi intimamente connessi”.
“Appare perciò evidente che la banalizzazione, in sede mediatica, della sentenza non condivisa, – prosegue l’Anm – rischia di delegittimare agli occhi dell’opinione pubblica il sistema giudiziario nel suo complesso, adombrando l’opinione che la decisione sia il frutto di una visione quantomeno strampalata delle emergenze processuali. Ed una polemica così aspra, innescata in una materia così delicata, produce all’esterno la sgradevole e infondata sensazione che il processo penale costituisca terreno di scontro tra il giudice ed il pubblico ministero, anzichè fisiologico luogo di verifica del materiale probatorio ritualmente offerto dalle parti, con il risultato di screditare nella specie le enormi energie che il pubblico ministero ed i giudici hanno compiuto, animati dallo sforzo comune di ricostruire un periodo buio della nostra storia e di accertare la fondatezza delle ipotesi delittuose formulate nei confronti degli imputati”.
“Per questo – conclude la nota – occorre oggi dare atto ai giudici di quel collegio, che godono di prestigio unanime in ambiente giudiziario, dell’infaticabile impegno profuso nel processo e dell’assoluta ed incontestabile onestà intellettuale che li ha portati a pronunziare quella sentenza. Riconoscimento che va espresso anche da parte di chi, come il pubblico ministero, legittimamente non condivide la decisione di merito”.