"Abbiamo cominciato ad accoltellarlo" | Omicidio Pandolfo, i racconti dell'orrore - Live Sicilia

“Abbiamo cominciato ad accoltellarlo” | Omicidio Pandolfo, i racconti dell’orrore

Due persone fermate e un minorenne indagato. Ecco le drammatiche confessioni sull'omicidio di Massimo Pandolfo, massacrato a Palermo con 40 coltellate nell'area del Teatro del Sole.

PALERMO – Due fermi, un minorenne coinvolto, un delitto efferato. La cronaca ci consegna una storia cruenta consumata nel ventre di una città, Palermo, che nasconde sacche di squallore e crudeltà. I fermi devono passare al vaglio della convalida del Gip, ma il procuratore aggiunto Maurizio Scalia e i sostituti Calogero Ferrara e Claudio Camilleri sono certi di avere chiuso il cerchio sull’omicidio di Massimo Pandolfo, massacrato con quaranta coltellate e colpi di pietra, ad aprile scorso, nella zona del Teatro del Sole, ad Acqua dei Corsari.

I carabinieri del comando provinciale e della compagnia di piazza Verdi hanno fermato Giuseppe Pollicino, 19 anni, e Giuseppe Manago, 36 anni. Al vaglio la posizione di un minorenne.

Il 15 settembre scorso qualcuno compone il 112. Una voce maschile dice di sapere chi ha ammazzato Massimo Pandolfo. Sono state tre persone e fa il nome di Giuseppe Pollicino, diciannovenne pregiudicato per rapina. Ha fretta di riagganciare. Si trova ai domiciliari e deve rincasare. Scattano le indagini dei carabinieri. La telefonata anonima è partita da una cabina in corso Tukory. Pollicino ha davvero dei precedenti per lesioni e tentata rapina. Poi, i militari estraggono dalla videocamera di un negozio le immagini che ritraggono l’autore della telefonata anonima. Che viene individuato. È un minorenne e, secondo l’accusa, ha partecipato al delitto. Di lui si occuperà la Procura minorile.

Messo di fronte alle immagini, il minorenne ammette di avere chiamato mosso dal risentimento nei confronti di Pollicino che lo aveva abbandonato durante un tentativo di rapina. Nega però di avere partecipato al delitto. Dice di non conoscere Pandolfo, ma si contraddice quando riferisce di avere tirato in ballo altre due persone, oltre a Pollicino, per dare più credibilità al suo racconto vista la corporatura esile di Pollicino. È un errore grave perché il ragazzo dimostra di essere a conoscenza della stazza fisica della vittima. Eppure poco prima aveva detto di non conoscerla. Tutto quello che sa dell’omicidio lo ha appreso dalla Tv.

I carabinieri piombano in casa di Pollicino e di un amico a caccia di riscontri. Sarà proprio l’amico a raccontare una serie di particolari che metteranno gli investigatori sulla pista giusta. Racconta, infatti, di avere saputo da una fonte di prima mano dell’efferato delitto. Dalle indagini salta fuori il nome Giuseppe Managò. Pollicino viene messo sotto torchio. Il suo è un interrogatorio drammatico. “Ho conosciuto Massimo Pandolfo in una sera di circa otto mesi fa al Foro italico mentre mangiavo un panino – mette a verbale -. Lui si è avvicinato a me, mi ha offerto il panino e da bere, abbiamo fatto un giro in macchina e poi mi ha portato a casa, che si trova dalle parti di Mondello. Al quinto giorno di incontri – prosegue – ha tentato di baciarmi, ma io mi sono tirato indietro; pertanto lui prima mi ha minacciato dicendomi che se non fossi stato con lui mi avrebbe rovinato, dopo di ché mi ha spogliato e violentato. Io non avevo mai avuto rapporti omosessuali prima di allora ed ero solito uscire solo con le ragazze”.

Il prosieguo è ancora più cruento: “Dopo quella volta lui mi costrinse a prostituirmi per lui, mi portava i clienti al Foro Italico e mi obbligava a prostituirmi prendendosi tutti i soldi, in cambio mi dava solo un pacchetto di sigarette e, al massimo, cinque euro. Io ero disperato, mi sentivo una vittima ed ero sempre più depresso, distrutto”.

Ed è ora che sarebbe maturato il delitto: “Mio cugino Managò Giampiero si era accorto del mio stato d’animo e, insistendo, mi ha portato ad aprirmi con lui. Gli ho detto che dovevo uscire da questo incubo. Allora mio cugino mi ha chiesto come avremmo fatto ad incontrarlo e ha chiamato anche omissis (c’è il nome del minorenne) a cui avevo raccontato la storia”. Fino alla sera del delitto: “Massimo è venuto da solo… siamo andati sino ad una panchina di fronte al mare, lui mi ha offerto una sigaretta e poi mi voleva baciare, io mi sono rifiutato e gli ho proposto di fargli conoscere altri due miei amici gay. Siamo tornati al Foro Italico ed io sono riuscito a convincere Massimo ad andare via tutti assieme. Siamo saliti in macchina, io dietro con Giampiero e omissis da vanti. Abbiamo fatto un giro, prima in zona Mondello (dove ci siamo fatti una canna), poi siamo andati in zona Teatro del sole. Lui però voleva sempre me e non gli interessavano i miei amici. Lui mi ha chiesto di toccarmelo, dopo di che ha cercato di baciarmi; a questo punto omissis mi ha detto ‘ora’ ed io ho dovuto prenderlo per il collo; omissis lo prendeva a pugni e Giampiero ha aperto la porta. Io e Pandolfo siamo caduti a terra e lui è riuscito a liberarsi e noi tutti lo abbiamo cominciato a colpire, anche con un coltello che io avevo portato con me, un coltello a scatto che aveva una stella”.

Una pausa, poi riprende con altri particolari: “Improvvisamente Pandolfo è riuscito a divincolarsi ed è scappato scendendo per i gradoni del teatro. In quel punto Pandolfo è nuovamente caduto e noi lo abbiamo continuato a colpire con calci e pugni fino a quando è riuscito a divincolarsi ed a tornare alla macchina. Mentre lui stava tornando alla macchina, prima di corrergli dietro, io ho passato il coltello a omissis. Nel frangente abbiamo accerchiato Massimo e omissis, puntandogli il coltello addosso, gli ha detto di darci tutti i soldi. Massimo ha detto di lasciarlo stare che soldi non ne aveva e omissis gli ha sferrato la prima coltellata ed io e Giampiero continuavamo a colpirlo con calci e schiaffi fino a quando Pandolfo è scappato nuovamente. Noi lo abbiamo inseguito… Giampiero è tornato alla C3 dove ha trovato un coltello che mi ha dato. Io ho raggiunto Massimo e mentre omissis lo ha fatto inginocchiare con uno sgambetto, io l’ho colpito con quella lama che mi aveva dato Giampiero. Dopo quel momento, Massimo ha perso i sensi e noi lo abbiamo trascinato… abbiamo continuato ad accoltellarlo passandoci il coltello solo io e omissis. Quando il respiro di Pandolfo si è fatto quasi inesistente, omissis ha preso un pietrone e glielo ha lanciato in testa 2 volte; dopo di che mi ha detto che dovevo farlo anche io ed, a mia volta, ho raccolto la pietra e gliel’ho sbattuta in testa due volte. Dopo che massimo non si muoveva più, Giampiero gli ha controllato le tasche e gli abbiamo tolto un pezzo da 50 euro che aveva all’interno delle stesse ed il cellulare, per poi tornare alla macchina ed andarcene”. Quindi sono tornati a casa, si sono ripuliti e dopo una sigaretta, racconta Pollicino, “io mi sentivo più libero. L’indomani mattina, abbiamo di nuovo sentito omissis, siamo usciti con la macchina e ci siamo andati a divertire, la sera uscivamo con la macchina e tutto andava nei migliori dei modi”.

Il 27 novembre 2013 Pollicino e Managò vengono convocati in caserma. La sala d’attesa è piena di microspie. Pollicino parla al telefono con una ragazza, poi con i genitori. Ripete che ha fatto una “cazzata. Abbiamo un omicidio di sopra”. Piange non vuole essere abbandonato. Da oggi è in satto di fermo assieme e a Giuseppe Managò.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI