PALERMO- Informazione e giustizia possono evitare di danneggiarsi? L’esigenza legata alle indagini, l’interesse pubblico a queste connesso possono coniugarsi con la legittima voglia di scoprire e raccontare i fatti? Questione antica e spinosa che l’Ordine dei giornalisti di Sicilia ha meritoriamente affrontato, mettendo accanto esponenti delle due categorie. Titolo del seminario (che aveva il ruolo di un incontro per la formazione) “Giustizia, libertà di informazione e tutela della fonti”. Al tavolo, il cronista di giudiziaria di Livesicilia, Riccardo Lo Verso, i giornalisti Giuseppe Bianco, Lara Sirignano e Franco Nicastro, l’avvocato Nino Caleca, il magistrato Daniela Galazzi e il pm Gaetano Paci. A moderare l’incontro per l’Ordine, Concetto Mannisi. Argomento delicato, ancora di più, perché le strade della cronaca e della giustizia hanno cozzato nel caso di Riccardo Lo Verso.
Il cronista di Livesicilia è stato oggetto di una recente perquisizione. Così la raccontammo il 20 febbraio: “Agenti della Direzione investigativa Antimafia di Palermo hanno fatto visita oggi pomeriggio alla redazione di Livesicilia per eseguire una perquisizione a seguito dell’articolo di oggi del nostro cronista di giudiziaria Riccardo Lo Verso sull’interrogatorio di Vito Roberto Palazzolo a Milano, per una presunta fuga di notizie. La perquisizione, disposta dall’aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Francesco Del Bene, Gaetano Paci e Dario Scaletta, ha interessato il computer del cronista, che è stato portato via insieme al suo telefono cellulare, al suo tablet e alle sue agende. Terminata la perquisizione presso la redazione, gli uomini della Dia si sono spostati presso l’abitazione del collega Lo Verso. Si tratta della seconda perquisizione subita da Lo Verso – che non è indagato in nessuno dei due casi – dopo quella del 12 ottobre scorso, quando la procura di Catania dispose di perquisire le abitazioni di Lo Verso e dei colleghi del Fatto quotidiano Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, per gli articoli relativi alle intercettazioni di Totò Riina”.
L’Ordine e il sindacato insorsero con comunicati molto bellicosi. Il Tribunale del Riesame il 10 marzo annullò. Citiamo ancora la nostra cronaca e il dispositivo dei giudici: “ll sequestro subito dal cronista di LiveSicilia Riccardo Lo Verso ‘deve ritenersi effettuato in modo illegittimo e, quindi, va annullato’. Perché ‘il sequestro di tutti i macchinari informatici e di tutta la banca dati del giornalista da un lato impedisce o rende maggiormente difficoltosa la sua attività professionale e dall’altro determina una significativa intrusione nella sua sfera professionale, con possibilità di scandagliare tutto il suo lavoro e conoscere tutte le sue ‘fonti’, anche quelle che non rilevano ai fini della vicenda’. Per i giudici Giacomo Montalbano, Gaetano Scaduti e Vincenzo Liotta quel sequestro non ha seguito la trafila giusta. ‘La libertà d’espressione – scrivono i giudici citando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo – costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e le garanzie da accordare alla stampa rivestono una importanza particolare in tale prospettiva. A tal fine, il diritto del giornalista di proteggere le proprie fonti fa parte della libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche’”.
Materia viva e contraddittoria, discussa alla presenza del cronista che subì quel provvedimento e di uno dei pm che lo firmò. Riccardo Lo Verso ha raccontato la sua esperienza, tralasciando il peso personale della vicenda – ma chi ha il privilegio di lavorare al suo fianco sa quanto sia stato duro affrontare quei giorni, a livello professionale e per l’angoscia dei familiari – e concentrandosi sul punto cruciale. “Perché tutto questo è stato fatto? – si è chiesto il giornalista di Livesicilia – Noto un atteggiamento schizofrenico. Abbiamo visto pubblicate tante notizie, tanti scoop e, chiarisco meglio il mio pensiero, mi dolgo di non averli firmati io. Eppure l’atteggiamento dei magistrati non è stato lineare. Io mi sono sentito un giornalista con meno copertura degli altri. I magistrati svolgono un’importante attività che ha portato ad alto livello i risultati dell’antimafia. Ma un po’ di merito va riconosciuto ai giornalisti che sono anche caduti sul campo per il dovere di informare e di sensibilizzare l’opinione pubblica. Nei confronti dei giornalisti bisogna avere rispetto, è necessario difendere la libertà di stampa”.
La risposta del pm Paci: “Vedo una situazione, sintomo di varie patologie, anche all’interno della Procura di Palermo, una forma di degenerazione, rapporti personalistici (con i cronisti, ndr) al limite dell’eversione. Vedo un sistema mediatico-giudiziario che fa male alla democrazia. Molti indagini preliminari vengono spacciate come elemento di verità assoluta. E questo accade per responsabilità condivise tra i miei colleghi e i giornalisti. Quante volte un giornalista si pone il problema dell’interesse pubblico? Quante volte un cronista pressato dal suo editore, dal mercato, dalla necessità di pubblicare non considera la sua responsabilità? Da qui possiamo partire per una riflessione comune più che mai salutare”.
La discussione è stata arricchita dagli interventi di Lara Sirignano, Giuseppe Lo Bianco, Franco Nicastro, dell’avvocato Caleca e del magistrato Galazzi. La riflessione può essere davvero salutare, nel confronto tra informazione e giustizia, purché si dica tutta la verità (e nella tavola rotonda la verità è stata coraggiosamente detta). Purché si illumini un fatto decisivo: c’è un circuito di scambio che riguarda certe fonti e certi giornalisti, per un vantaggio reciproco. La fonte dà la notizia e la orienta. Il cronista scrive prima di tutti, pagando il dazio di un racconto favorevole ai suoi suggeritori. E’ di questo che ha parlato Lara Sirignano quando ha descritto: “Fughe di notizie e campagne di stampa strumentali”. Saprà la categoria dei giornalisti recuperare ovunque piena autonomia e quella dei magistrati applicare un’uniforme riservatezza? Ai lettori l’ardua sentenza.