La politica resta fuori dal 23 maggio |Sull'antimafia è ancora polemica - Live Sicilia

La politica resta fuori dal 23 maggio |Sull’antimafia è ancora polemica

I politici disertano le commemorazioni della strage di Capaci. Ma non mancano i veleni.

PALERMO – Qualche lacrima tra i sorrisi. Alle 17.58 di oggi, Palermo sembrava bellissima. E in un certo senso, nuova. La politica aveva abdicato. Sotto l’albero di Falcone, attorno al quale i ragazzi si esibivano in contorsioni buone per qualche “selfie”, sul palco che verrà animato da un Gianni Morandi a sorpesa, non c’è traccia di deputati, senatori, onorevoli ed ex a vario titolo. Anche di quelli che alle passerelle non rinuncerebbero mai. Non c’era il presidente della Regione, né alcun rappresentante del governo regionale. No, la politica non c’era, escluso il presidente del Senato Piero Grassoe Claudio Fava. La politica non c’era. O se c’era, stavolta, era in seconda fila, tra la gente, un passo indietro. C’era però una marea di ragazzi. C’era, insomma, la speranza depurata da ogni veleno. Da ogni polemica.

Le polemiche, in realtà, avevano scelto altri teatri. Ma anche in questo caso, il 23 maggio di quest’anno è apparso nuovo. E il contributo maggiore è stato offerto da Lucia Borsellino. Toni pacati, come al solito. Modi gentili. Ma una frase che pesa e peserà su carriere e categorie. Che influenzerà, probabilmente, la “piccola” comunicazione politica siciliana. “Mio padre e Giovanni non usarono mai la parola ‘antimafia’”. Come dire: è il momento di andare oltre. Come dire: attenzione al logorìo, all’uso strumentale del termine e del concetto. Agli abusi che se ne fanno, magari gettando quella parola nell’agone polveroso e a tratti bassissimo di una campagna elettorale giunta alle ore decisive. E le parole di Lucia Borsellino vanno nella stesa direzione di Don Luigi Ciotti: “Questa violenza verbale nell’antimafia – ha detto – è una ferita profonda, non ci si può dividere. Stiamo facendo dei grandi regali ai mafiosi e a chi ha scelto l’illegalità. È il noi che vince. Non voglio più sentire parlare di antimafia. Essere contro le mafie dovrebbe essere un fatto di coscienza, non una carta di identità”.

Basta con “l’antimafia”. Con l’etichetta, ovviamente. Non certo con l’agire, con l’azione. “Non mi piacciono – ha detto Leonardo Guarnotta, presidente del tribunale di Palermo e in quegli anni terribili componente del pool antimafia – le polemiche che dividono l’Antimafia, disturbano questo momento di ricordo, è come se tirassero per la giacca, ancora una volta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Preferisco un’Antimafia del fare e gli studenti che arrivano oggi a Palermo ci ricordano il senso di un’antimafia non parolaia”.

Il senso di un 23 maggio diverso sta anche lì. Nel rifiuto. In una sorta di sdegno nei confronti del ricorso alla retorica e di qualche strumentalizzazione “sempre dietro l’angolo”, ribadirà Lucia Borsellino. Uno sdegno espresso dal procuratore di Termini Imerese, Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, la moglie di Giovanni Falcone, durante la commemorazione all’aula bunker dell’Ucciardone: “Volete che parli? Prendete le dichiarazioni dell’anno scorso. Credo che questa sia la solita passerella per tante persone. Sia al bunker che in chiesa”.

In chiesa, al Centro educativo ignaziano, per intenderci, saranno presenti, tra gli altri, il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro Angelino Alfano, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e il presidente della commissione nazionale antimafia Rosy Bindi. Che sceglie di “evitare, in un giorno come questo, qualunque polemica sull’antimafia. Ma per me – specifica – la parola conta poco. Io parlo di lotta contro la mafia. Poi, la commissione che presiedo ha quel nome per legge. Che possa farci?”.

Ma le polemiche sono esplose. Ugualmente. Al Tribunale di Palermo, infatti, ecco l’affondo della giornalista Marcelle Padovani, che scrisse con Giovanni Falcone il libro “Cose di Cosa nostra”. Secondo la scrittrice, infatti, Giovanni Falcone non avrebbe condiviso la linea giudiziaria dalla quale è scaturito il processo sulla trattativa Stato-mafia. Dopo avere parlato della sua amicizia e della collaborazione con il magistrato, Padovani ha spostato l’intervento sulla “eredità” di Falcone. E a questo punto ha criticato l’impostazione del processo sulla trattativa sostenendo che, se uomini dello Stato hanno avvicinato Vito Ciancimino e boss mafiosi per fermare le stragi, “hanno fatto bene”. Il giudizio cambierebbe se fosse dimostrato che hanno commesso reati o tradito lo Stato. La scrittrice francese ha poi criticato quei magistrati che “si lasciano prendere la mano dal protagonismo e danno una autorappresentazione del proprio impegno” con una “mediatizzazione eccessiva”. Seguirebbero “teorie di complotti, retroscena e trame che probabilmente esistono solo sulla carta”. Per questo, secondo Marcelle Padovani, oggi la posizione di Falcone sarebbe “più vicina al pensiero del giurista Giovanni Fiandaca”, autore con lo storico Salvatore Lupo del libro “La mafia non ha vinto”.

Un nervo scoperto, quello toccato dalla scrittrice. Una vicenda che – non a caso – ha incendiato anche la politica, nei giorni scorsi. In occasione del duro “botta e risposta” tra il presidente della Regione Rosario Crocetta e il professore Giovanni Fiandaca. Il primo ha definito il secondo un “negazionista”. Il giurista ha replicato attribuendo al governatore l’etichetta di “ayatollah dell’antimafia”. Ma l’uscita di Marcelle Padovani, che ha anche crtiticato il “protagonismo” di alcuni giudici, e l’impianto del processo sulla trattativa, non è piaciuta al procuratore aggiunto Vittorio Teresi: “Non ha il diritto di tranciare questi giudizi” ha detto il magistrato che coordina i pm del processo, lasciando l’aula magna del palazzo di giustizia. “Marcelle Padovani – ha detto il magistrato – avrebbe dovuto leggere gli atti del processo e non solo il libro di Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo. E’ grave che esprima i suoi giudizi mentre c’è un dibattimento in corso. Finisce così per presentare come l’unica verità alternativa quel libro che peraltro utilizza degli atti processuali solo una quindicina di pagine”.

Un po’ l’accusa lanciata da Crocetta a Fiandaca, in un certo senso. Oggi, il governatore, fischiato clamorosamente appena ieri sera in occasione di una manifestazione elettorale al fianco della candidata alle Europee Michele Stancheris, invece è stato “costretto” a disertare gli appuntamenti del 23 maggio. Il motivo è affidato a un comunicato stampa dove Crocetta parla di “forti dolori” che lo hanno obbligato a riunciare a quegli appuntamenti. Alla passerella e al rischio di strumentalizzazioni. Alle quali già da giorni si era sottratto il premier Matteo Renzi. Quelle strumentalizzazioni che, secondo Lucia Borsellino stanno sempre dietro “l’angolo”. E che per una volta sono rimaste fuori, almeno, – se si fa eccezione per i cori a sostegno di Nino Di Matteo da parte della scorta civica al magistrato – dai minuti che hanno accompagnato e seguito il “minuto del silenzio”. Le 17.58. Quel minuto. Prima e dopo il quale, i ragazzi giunti da tutta Italia hanno ballato e riso, rendendo Palermo bellissima. Mentre qualche lacrima scendeva sul viso degli adulti. Perché la speranza, depurata da polemiche vecchie e nuove, a volte, può anche commuovere.


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