La politica dell'agonia - Live Sicilia

La politica dell’agonia

Archiviata la Leopolda siciliana, resta comunque l'impressione di una rottura impossibile, con una Sicilia inchiodata a un governo che si è mostrato inadeguato

PALERMO – Archiviata la Leopolda siciliana coi suoi frizzi, i suoi lazzi e la sua ben esibita folla di potere, un paio di considerazioni restano. La kermesse renziana di Palermo, “affollamento brulicante sul corpo del potere” l’ha definita domenica Roberto Puglisi, si è chiusa con la presa d’atto di un dato di fatto: la rottura è impossibile. E ciò malgrado i buoni propositi annunciati, i coreografici riti dei tavoli di lavoro, l’entusiasmo dei tanti che c’erano perché ancora ci credono mischiati a quanti c’erano perché ci sono sempre stati. La rottura è impossibile perché, ha detto lo stesso Davide Faraone, la giunta regionale non si tocca. E il quadro politico siciliano resta inchiodato a Rosario Crocetta e alla sua esperienza di governo che in più di due anni si è manifestata non adeguata a guidare la Sicilia fuori dalle secche. “Crocetta stai tranquillo – ha sintetizzato Faraone -, qui si costruisce una nuova classe dirigente, non un nuovo presidente della Regione. Nessuno ha voglia di far nascere progetti alternativi da questo governo”. Nessuno ha voglia. Che poi si traduce nessuno ha i numeri e il coraggio per farlo, visto che il destino del governo e quello dell’Assemblea e dei suoi inquilini sono indissolubilmente legati. La rottura è impossibile. Anche se dal palco della Leopolda sicula si sono sentiti spesso toni da opposizione, prese di posizione di rottura tutt’altro che generose verso il governo e i suoi vezzi, a partire dalla “denuncite” e dall’antimafia usata come strumento di potere. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo governo e governatore. E lo scenario di tirare a campare così per altri tre anni. Tre anni di agonia annunciata.

Le questioni di principio ribadite nella due giorni renziana di Palermo possono anche strappare applausi e condivisioni. Ma si scontrano con il deja entendu di tanti ritornelli su sviluppo, autonomia e fine dell’assistenzialismo, che in passato avevano accompagnato le stagioni del cuffarismo, del berlusconismo e poi dell’autonomismo lombardiano, sempre con le stesse facce, gli stessi nomi e cognomi, tanti dei quali ora si accalcano per trovare un posticino sul carro renziano. Che il passato rompa con se stesso è certo un bel sogno. La realtà, invece, alberga a Palazzo d’Orleans. Dove restano aperti come voragini gli interrogativi sul futuro della Sicilia. A partire da quello gigantesco sui conti, proseguendo con il controllo sui fondi europei, conteso tra Bilancio e Presidenza, e via dicendo. Quale ricetta si intende adottare per curare il sistema perverso e antidiluviano dei rifiuti in Sicilia? Quale idea per la gestione dell’acqua? Come porre rimedio ai guasti della Sanità? Come contrastare il progressivo spopolamento di intere aree geografiche? E cosa fare per assicurare il minimo vitale ai Comuni siciliani sull’orlo del disastro? Sono risposte per le quali il tempo dei think tank è abbondantemente scaduto. Servono piuttosto gli atti di governo. E certo non tre anni di agonia.


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