La difficoltà di recuperare i soldi| Tra intoppi e "condotte dilatorie" - Live Sicilia

La difficoltà di recuperare i soldi| Tra intoppi e “condotte dilatorie”

Nel 2014 è stato recuperato solo l'1,10 per cento dei danni erariali sanzionati, su richiesta della Procura regionale, dalla Corte dei conti. Vi spieghiamo la procedura che inizia quando la sentenza diventa definitiva.

CORTE DEI CONTI E DANNI ERARIALI
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PALERMO – Le procedure di “recupero crediti” sono di per sé lunghe. Diventano, però, lunghissime quando ci si mettono di mezzo i tempi biblici della giustizia civile e, in alcuni casi, le “condotte dilatorie” di alti burocrati regionali che hanno il dovere, ma se la prendono comoda, di incassare i soldi per i danni erariali provocati dai pubblici amministratori. Risultato: nel 2014 è stato recuperato solo l’1,10 per cento dei danni erariali sanzionati dalla Corte dei conti con sentenza definitive. Sono andate in esecuzione 4 delle 71 decisioni di secondo grado. L’anno scorso è stato recuperato un milione e 900 mila euro (1 milioni e 423 mila euro nel 2013).

Bisogna, però, tenere conto dei tempi della giustizia civile che, quando c’è da riscuotere un credito, spesso incrocia quella contabile. Un esempio: se un condannato si oppone al pignoramento della casa avviato dall’ente per cui lavora si innesta un procedimento civilistico che può andare avanti anche per un decennio. Gli ultimi dati statistici, resi noti nella relazione del procuratore regionale Giuseppe Aloisio all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti, ci dicono che, considerando tutte le condanne dal 2002 ad oggi, la percentuale delle somme recuperate si attesta al 37,18 per cento. Ci sono numeri che fanno ben sperare: per le sentenze più vecchie, dal ’90 al ’94, il recupero oscilla fra il 94 e il 100 per cento. Speriamo vada così anche per gli anni a venire fino ai nostri giorni.

La procedura è piuttosto semplice: quando la sentenza diventa definitiva la Corte de conti chiede alle pubbliche amministrazioni di provvedere alla riscossione. Il recupero delle somme può avvenire “attingendo” alle provviste del dipendente (blocco del quinto dello stipendio o del Tfr, il trattamento di fine rapporto). Il dipendente condannato può anche chiedere una rateizzazione del credito. Quando, però, i soldi non vengono versati l’amministrazione danneggiata può procedere all’iscrizione a ruolo del credito e all’eventuale esecuzione forzata (ad esempio, il pignoramento degli immobili).

Le cose, però, non filano sempre lisce tanto che Aloisio sottolinea che “nell’ambito delle procedure di esecuzione delle sentenze di condanna a carico di amministratori e dirigenti regionali, talvolta sono state rilevate condotte dilatorie della riscossione del credito”. E cita un esempio: “È stato riscontrato che un dirigente regionale, senza alcuna apprezzabile giustificazione giuridica, ha intimato alla Serit di sospendere la procedura esecutiva in essere nei confronti di un condannato”.

Spetta alla Procura regionale, la stessa che “stana” le irregolarità e istruisce i processi, vigilare sulla corretta esecuzione delle sentenze da parte delle amministrazioni creditrici. Il “servizio esecuzioni” ha l’obbligo di monitorare i procedimenti. Le procedure di recupero ancora in corso riguardano 619 sentenze. Quando l’ente non si attiva gli stessi pubblici ministeri contabili possono aprire un nuovo procedimento per danno erariale nei confronti chi non ha recuperato i soldi. Ma i casi che si contano sulle dita di una mano perché la faccenda finisce per cozzare, come dicevamo, con i tempi biblici della giustizia civile.

 


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