Abbiamo rivisto il coraggio di Paolo Borsellino a Palazzo di giustizia. Abbiamo visto suo figlio Manfredi prendere posto, accanto al padre, ancora di più, nell’affetto dei siciliani. Nelle sue schiette parole – pronunciate al cospetto di un presidente della Repubblica commosso e di una politica imbalsamata – c’è lo schiaffo che potrebbe risvegliare la Sicilia della narcosi. Ecco il discorso, nel suo senso profondo, virgola più, virgola meno.
“Non entro nel merito delle indiscrezioni giornalistiche di questi giorni, indiscrezioni che avranno turbato probabilmente voi, ma vi assicuro non l’interessata, mia sorella Lucia, perché consapevole e da tempo del clima di ostilità in cui operava e delle offese che le venivano rivolte per adempiere nient’altro che il suo dovere. Mi si lasci però dire che non sarà la veridicità o autenticità del contenuto di una singola intercettazione (quella nota e presunta tra Rosario Crocetta e Matteo Tutino, ndr) a impedire che i siciliani onesti, che mi sforzo di ritenere rappresentino ancora la maggioranza in questa terra disgraziata, sappiano lo scenario drammatico in cui mia sorella Lucia si è ritrovata a operare in questi anni di guida di uno dei rami più delicati dell’amministrazione regionale. Lucia ha portato la croce fino al 30 giugno scorso, perché amava a dismisura il suo lavoro, voleva davvero una Sanità libera e felice come diceva lei, è rimasta per amore di giustizia, per potere ‘spalancare’ le porte di una sanità, da sempre in Sicilia centro di interessi e malaffare”.
E poi, ancora: “ La lettera di dimissioni da assessore alla Salute di mia sorella Lucia ha prodotto un silenzio sordo da parte delle istituzioni, soprattutto regionali. Quella lettera già diceva, dice tutto. Andrebbe riletta tante volte…”.
Uno schiaffo in pieno volto. Una fortissima presa di posizione il cui dato politico appare chiaro: la condanna di un baraccone che non parrebbe cambiato, nonostante le promesse di palingenesi. In solido, una requisitoria che nessun altro avrebbe mai potuto scrivere con altrettanto nitore e che convoca l’ombra di Rosario Crocetta. Formalmente quel nome nel discorso di Manfredi non c’è. Ma salta agli occhi la descrizione di una ferita che chiama in causa il ministero politico del governatore. E chi altri sennò?
Chi è il responsabile al massimo grado di quel settore in pezzi? Chi ha voluto Lucia Borsellino come mero ornamento della sua giunta rivoluzionaria? Chi ha intrattenuto relazioni e colloqui non penalmente rilevanti ma talmente discutibili da non lasciare intravvedere altra strada se non l’exit strategy della dignità calpestata? Quale sinedrio ha costretto la figlia di Paolo “a portare la croce”? Chi ne ha preso il posto senza rossore, nonostante ciò fosse sconsigliato dalla decenza e da un minimo rispetto verso le indagini della magistratura sul caso Tutino? In tutto il drammatico discorso di Manfredi è ravvisabile il convitato di pietra. Così come nella “sordità delle istituzioni” e nella lettera con la quale Lucia ha abbandonato il governo di un presidente politicamente impresentabile. Lettera che – incalza Manfredi – “ha già detto tutto”.
E le intercettazioni tra Rosario Crocetta e Matteo Tutino, pubblicate stamattina da Live Sicilia, , convergono nella stessa direzione, anche se da un’altra strada. Come ha scritto il nostro Riccardo Lo Verso: “Le conversazioni ci dicono che Tutino non era solo un medico personale per Crocetta – ruolo sempre ribadito dal presidente dopo l’arresto del chirurgo -, ma era molto di più. Era il suo confessore, ma anche il suo informatore sulle faccende che passavano dall’assessorato guidato da Lucia Borsellino e in alcuni casi il suo braccio operativo all’ospedale Villa Sofia, dove Tutino ha fatto il primario fino al giorno in cui è finito ai domiciliari per truffa, peculato e abuso d’ufficio. Prima di ogni decisione o azione Tutino parlava con il presidente ‘perché – gli diceva – io per te darei la vita’”. Emerge il cattivo odore di una Sanità dalla sostanza fortemente relazionale, rinchiusa a doppia mandata, nelle sue contraddizioni eterne. Una fortezza che nemmeno l’impegno di Lucia Borsellino è riuscito a smagliare.
Il ragionamento – circoscritto alla mera, ma sovrabbondante responsabilità politica, per altro esistono altri contesti – porta a una sola conclusione: Rosario Crocetta non è adatto a guidare questa Regione. E non per un’intercettazione fantasma, evento per cui esistono mille alibi e mille scuse, oltre alla smentita della Procura. Questo presidente non risolve i problemi di sostanza e di opportunità, anzi li aggrava. La sua rivoluzione è stata un colossale bluff. Noi di Livesicilia lo gridiamo ai quattro venti da tempo. Ora ci pare che Manfredi Borsellino abbia detto la stessa cosa nella forma più sacra e perentoria possibile. L’ha detto davanti al presidente della Repubblica, ricevendone un affettuoso abbraccio. Chi finge di non capire – pensiamo a questo imbalsamato Pd siciliano – non ha più nemmeno l’alibi della buonafede.