PALERMO – Lo scontro giudiziario prosegue. Da una parte gli imprenditori Rappa, che chiedono il dissequestro dei loro beni, e dall’altro la Procura della Repubblica, convinta della pericolosità sociale di alcuni componenti della famiglia di imprenditori. Ed è questo il nodo cruciale attorno a cui si gioca la partita, dopo che la Cassazione ha annullato il sequestro che aveva colpito i nipoti di Vincenzo Rappa, morto a Palermo nel 2009, dopo essere stato condannato per mafia.
Lo scorso dicembre i Supremi giudici, infatti, hanno bocciato i provvedimenti emessi nel marzo e nel giugno 2014. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale, allora presieduta da Silvana Saguto, oggi indagata e sospesa dal Csm, accolse le proposte della Direzione investigativa antimafia. Sotto sequestro è finito un patrimonio da 800 milioni appartenuto a Vincenzo Rappa. Si tratta di società, aziende di pubblicità, la televisione Trm e la concessionaria “Nuova sport car” (l’amministrazione giudiziaria era stata affidata all’avvocato Walter Virga, indagato assieme alla Saguto e al padre Tommaso, pure lui magistrato). Secondo la Cassazione per il primo sequestro era stata utilizzata la nozione di “eredi di fatto”, fattispecie non prevista: eredi sono soltanto quelli indicati dal Codice civile. Da qui l’annullamento del provvedimento senza rinvio per i figli di Filippo e con rinvio per il padre: è in corso un nuovo processo per stabilire se Filippo sia effettivamente erede di circa il 20 per cento del patrimonio sequestrato (nel suo caso la Cassazione contestò un difetto di motivazione). Il secondo provvedimento, invece, era arrivato fuori tempo massimo, e cioè oltre i 5 anni entro i quali le misure patrimoniali possono colpire anche gli eredi.
È rimasto, invece, in piedi il terzo sequestro, quello emesso nel febbraio 2015 quando arrivò una nuova misura di prevenzione patrimoniale, stavolta proposta dalla Procura, che riguardava direttamente Filippo Rappa e i figli Vincenzo Corrado e Gabriele. Gli imprenditori sono considerati “socialmente pericolosi”.
All’udienza di ieri, nel corso di un incidente di esecuzione, i difensori hanno chiesto che gli effetti della sentenza della Cassazione siano estesi anche al terzo sequestro. I pubblici ministeri Claudia Ferrari e Daniela Varone si sono opposti sia per aspettare l’esito di una perizia, che dovrebbe essere consegnata a marzo , sia perché – la posizione della Procura su questo è netta – i Rappa sarebbero socialmente pericolosi: il loro patrimonio sarebbe stato ”sporcato” dall’immissione di capitali illeciti e poi avrebbero organizzato dei passaggi societari affinché i beni del nonno sfuggissero alla scure delle misure di prevenzione. Ad esempio, nel caso di Trm, “Filippo Rappa vende ai figli nel ’97 le quote societarie due mesi prima di essere raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere assieme al padre (Filippo Rappa sarà poi scagionato ndr)”. Un’operazione che, secondo i pm, “risulta priva di giustificazione finanziaria lecita”. Gli eredi non avrebbero avuto i soldi necessari – circa 300 milioni di lire – per portare a termine l’operazione. Così come non convince il passaggio successivo quando, ad un mese dall’arresto, i “figli fondano Telemed poco più che ventenni e senza un adeguato reddito di provenienza lecita”.
I legali dei Rappa, gli avvocati Alberto Stagno D’Alcontres, Simone Lonati, Giuseppe Oddo, Giovanni Di Benedetto, Salvino Mondello, Mauro Torti, Raffaele Bonsignore, si sono sempre definiti sorpresi: “I dottori Rappa sono noti e stimati imprenditori, rimasti estranei a qualsivoglia vicenda giudiziaria”. Adesso spetta al nuovo collegio del Tribunale presieduto da Giacomo Montalbano decidere se, nelle more che arrivi e si valuti la perizia, il patrimonio possa essere dissequestrato in virtù della decisione della Cassazione. Prossima udienza il 7 aprile. Così come sarà sempre il Tribunale a decidere le sorti del troncone rinviato dalla Cassazione e che riguarda il solo Filippo Rappa.