PALERMO – Si sono scontrate due tesi contrapposte. Quella dell’accusa, secondo cui nel 1995 si poteva catturare Bernardo Provenzano a Mezzojuso, grazie alla soffiata dell’infiltrato Luigi Ilardo, e quella della difesa di Mario Mori e Mauro Obinu: quell’incontro non c’è stato.
L’accusa
“Inerzia, omissione, dolo”: tutto ciò avrebbe caratterizzato l’operato dei due ufficiali del Ros. Altro che “opacità” come le definì il giudice del Tribunale che li mandò assolti. Durissima era stata la requisitoria del sostituto procuratore Luigi Patronaggio secondo cui, non furono fatte indagini sui soggetti che Ilardo aveva indicato a Michele Riccio (il carabiniere e grande accusatore di Mori e Obinu, la cui attendibilità era stata criticata pesantemente nella sentenza di primo grado, ndr). Eppure le indicazioni erano precise: a cominciare dagli uomini delle staffette alle macchine che sarebbero state utilizzate. Nessun dubbio per Patronaggio: “L’incontro tra Ilardo e Provenzano c’è stato, è fotografato in modo documentale in questo fascicolo processuale in cui si vede la macchina di Ilardo che si ferma al bivio. Vi è una Ford Escort e Ilardo vi sale. Bastava prendere il numero di targa per poi vedere a chi appartenesse. Eppure nell’immediato non si fa nulla ed il primo accertamento sul caso è del marzo 1996 mentre la prima intercettazione è del novembre 1996. L’osservazione nel giorno del 31 ottobre 1995 viene fatta in malo modo e con mezzi e uomini inadeguati, a cui si aggiunge il fatto che la Procura viene informata solo con l’informativa Grande Oriente, alla morte dello stesso Ilardo”. Patronaggio ha evidenziato anche l'”accelerazione” dell’uccisione di Ilardo, avvenuta nel maggio del 1996, addebitandola alla “grave fuga di notizie da parte di ambienti giudiziari di Caltanissetta”.
La difesa
Oltre che lo stesso Mari Mori con le sue dichiarazioni spontanee sono stati gli avvocati Enzo Musco e Basilio Milio a contestare ogni passaggio della ricostruzione dell’accusa. Milio si è spinto ad affermare che non c’è certezza alcuna sul fatto che ci sia stato un summit a Mezzojuso. Sull’uccisione di Ilardo, secondo in legali, il pentito Giovanni Brusca raccontò di essere venuto a conoscenza del piano di eliminare il confidente “già nel giugno 1995”. E dubbi sui racconti di Ilardo erano stati espressi dagli investigatori della Dia che seguiva le operazioni dirette dal colonnello Michele Riccio: in una relazione del 13 settembre 1995 si parlava di “estrema indeterminatezza”.
I legali hanno puntato molto sulla testimonianza di Giuseppe Pignatone, oggi capo della Procura di Roma e all’epoca pm che coordinava l’indagine a Palermo. Pignatone in aula disse che il giorno dopo il presunto incontro a Mezzojuso, l’1 novembre ’95, incontrò Michele Riccio che non gli parlò di Provenzano. Ecco le parole di Pignatone: “Mi venne riferito solo che c’era stato un incontro a cui era andata la fonte, che si era incontrato con Nicola Greco e che c’erano buone possibilità di prendere Provenzano, di lì a poco, probabilmente entro Natale. Praticamente erano le cose che Riccio ripeteva da tempo”. E poi, ha tuonato la difesa, Riccio quel giorno di ottobre non era presente a Mezzojuso. Non partecipò alla possibile cattura di Provenzano. Almeno così ha riferito l’ufficiale dei carabinieri del Ros di Caltanissetta, Antonio Damiano, che disse di essere stato incaricato da Riccio per eseguire “un’osservazione con rilievi fotografici” al bivio di Mezzojuso. Niente blitz stoppato da Mori, dunque. E le indagini successive al 31 ottobre 1995, come si mosse la Procura? Pignatone non ne seppe nulla: “Se così fosse stato – ha detto – avremmo attivato indagini il più approfondite possibili”. Era ancora aperta, d’altra parte, la “ferita” per la mancata perquisizione del covo di Riina.