PALERMO – Meno deputati e stipendi più poveri. E addio ai senatori. È in arrivo una batosta per la casta politica siciliana. Solo qualche mese, giusto il tempo di far entrare a pieno regime da un lato la riforma che riduce il numero degli inquilini di Sala d’Ercole, dall’altra la riforma costituzionale che a ottobre dovrà superare lo scoglio del referendum. Una “mazzata” per chi di politica vive e ha vissuto. Visto che si restringeranno – e di molto – gli spazi per le conferme dei politici isolani così come gli spiragli per i nuovi aspiranti onorevoli a ogni livello.
Bye bye consigli provinciali
A dire il vero qualcosa è già avvenuto. Centinaia di poltrone sono già saltate con la riforma che ha portato all’abolizione delle Province e la nascita dei Liberi consorzi. Via, insomma, tutte la cariche di consiglieri provinciali e componenti delle giunte. Addio a una fetta della “casta”, insomma, ma anche a un po’ di rappresentatività sui territori. Tutto, però, pagato a carissimo prezzo. Visto che l’incapacità del governo regionale di portare avanti una riforma lineare, si è tradotta in un periodo di commissariamento mai visto prima: più di tre anni, con gli enti in mano, spesso, in mano a qualche fedelissimo del governatore. Alla casta, insomma, si è sostituita di frequente la “mini-casta” del cerchio magico del presidente Crocetta.
L’Ars si mette a dieta
Ma un po’ di poltrone scompariranno anche a Palazzo dei Normanni. In questo caso è intervenuta una “legge-voto”: una riforma regionale, insomma, che è passata anche dall’approvazione delle Camere. La legge ha ridotto, a partire dalle prossime elezioni, il numero dei deputati regionali da 90 a 70. Venti in meno, quindi, con terremoti in arrivo un po’ in tutti i collegi elettorali. Dove i parlamentari in carica dovranno faticare e molto per conquistare una conferma e per respingere le ambizioni di qualche new entry.
Calano gli stipendi a Sala d’Ercole
Ma per la casta della politica siciliana, diverse brutte notizie arriveranno con l’approvazione della “riforma Boschi” di revisione della Costituzione italiana, qualora questa venisse confermata dal referendum. Le norme che prevedono, infatti, la modifica del Titolo quinto, riguardano ovviamente anche la Sicilia. E in particolare il “portafogli” dei futuri parlamentari di Sala d’Ercole. L’articolo 35 della riforma costituzionale, ad esempio, introduce i “limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali”. La norma, in pratica, che interviene sull’articolo 122 della Costituzione, fissa gli stipendi di presidente della Regione e deputati regionali “nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione”. L’unità di misura, insomma, sarà lo stipendio del sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Una indennità che equivale a circa 10.100 euro lordi al mese. Una somma che, al netto, rischia di essere di gran lunga inferiore a quella attualmente spettante ai deputati di Sala d’Ercole ai quali va una indennità di 11.100 euro lorda solo in parte. Insomma, nel passaggio dall’attuale alla nuova indennità, i prossimi parlamentari “rischiano” di perdere qualcosa come duemila euro netti al mese.
Via i rimborsi ai gruppi parlamentari
La riforma Boschi, poi, prevede anche la cancellazione di una delle voci che oggi rappresenta una delle indennità relative al mandato dei deputati siciliani: si tratta dei trasferimenti ai gruppi parlamentari, utilizzati appunto per il funzionamento delle strutture dei partiti all’interno del Parlamento e per il pagamento di spese e consulenze. Tra le disposizioni finali della “Boschi” infatti, è stabilito che “non possono essere corrisposti rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali”.
Addio ai senatori, Sicilia penalizzata
Ma la cura dimagrante della casta non verrà avvertita solo sulle poltrone siciliane. Come è noto, infatti, la riforma Boschi prevede l’abolizione del bicameralismo perfetto, con una nuova composizione del Senato. Che intanto scenderà a soli 100 componenti dagli attuali 315.
Si tratterà di 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori nominati dal capo dello Stato per 7 anni. Senatori che, quindi, non verranno eletti, ma indicati dagli stessi enti locali oltre che dal Capo dello Stato. Quanti saranno i senatori espressi allora dalla Sicilia? Il numero dei componenti del Senato assegnato a ciascuna regione è correlato al peso demografico di ciascuna, ma con il limite minimo di due senatori per Regione. E il punto sta proprio lì. Da un lato questo limite minimo, dall’altro la facoltà del Presidente della Repubblica di nominare cinque senatori a vita che rappresenterebbero, quindi, in percentuale, circa 4 milioni di italiani, si tradurrebbe in una “discriminazione” della Sicilia rispetto ad altre Regioni a Statuto speciale.
Alla Sicilia, infatti, con la revisione costituzionale, spetterebbero sette senatori: uno ogni 714 mila abitanti circa. Un rapporto assai diverso da quello delle Regioni speciali del Nord Italia, dove ad esempio, saranno due i senatori della Valle d’Aosta (uno ogni 63 mila abitanti), 4 quelli del Trentino (uno ogni 250 mila abitanti), mentre più simile il rapporto tra l’Isola e il Friuli Venezia Giulia (due senatori, uno ogni 600 mila abitanti).
Uno svantaggio, in termini di rappresentatività che la Sicilia condivide con la Sardegna. Mentre le Regioni a Statuto speciale del Nord esprimeranno un senatore ogni 287 mila abitanti, le due Regioni insulari a Statuto speciale nomineranno un senatore ogni 660 mila abitanti. “Riconoscendo maggiore rappresentanza ai cittadini delle Regioni ad autonomia differenziata del Nord rispetto a quelle del Sud, – dichiara Gaetano Armao, tra i promotori del ‘no” al referendum sulla Riforma Boschi – la riforma Renzi ne altera la legittimazione politica, li discrimina e consolida anche a livello politico il crescente divario Nord-Sud”. Il rischio, insomma, è legato a uno sbilanciamento “geografico” nelle scelte che il Senato dovrà assumere, visto che i senatori saranno chiamati a legiferare su materie legate agli enti locali oltre che a quelle sui rapporti con l’Unione europea. E in quel caso, la Sicilia rischia di contare sempre meno. Mentre nell’Isola la casta della politica, dovrà mettersi a dieta.