Caso Biondo, i conti dei teatri |e il ruolo del Comune - Live Sicilia

Caso Biondo, i conti dei teatri |e il ruolo del Comune

La situazione dei bilanci è lo sfondo dello scontro tra Orlando e il dimissionario Alajmo.

PALERMO – Distano meno di un chilometro l’uno dall’altro, sono i simboli della cultura di Palermo ma i loro destini sembrano oggi più diversi che mai: se il Teatro Massimo di piazza Verdi, infatti, viaggia a vele spiegate forte di un bilancio sano e di una piena sintonia con il Comune, il Teatro Biondo di via Roma affronta invece una delle crisi più profonde della sua storia con il direttore, Roberto Alajmo, che ha sbattuto la porta.

Due realtà distanti e differenti non solo per vocazione e dimensioni, ma anche per il diverso feeling con Palazzo delle Aquile che in entrambi gli enti gioca un ruolo di primo piano. A piazza Verdi, dal 2014, sulla poltrona del Sovrintendente siede Francesco Giambrone: medico prestato al giornalismo, è uno dei fedelissimi del sindaco Leoluca Orlando che negli anni Novanta, come nel Duemila, lo ha voluto prima assessore alla Cultura e poi Sovrintendente. Un rapporto di ferro, cementatosi negli anni, che ha riportato Giambrone al Massimo dopo oltre un decennio grazie al pressing del Professore sul ministero dei Beni culturali che ha commissariato la fondazione (cacciando Antonio Cognata, voluto dall’ex sindaco Diego Cammarata), prima di affidarla proprio a Giambrone.

Del resto il sindaco ha sempre considerato la cultura come uno dei punti forti della sua azione amministrativa, consapevole del ruolo che i teatri e in generale l’arte possono giocare nel rilancio nazionale e internazionale di una città: non è un caso che Palermo abbia gareggiato per diventare capitale europea della cultura, abbia ottenuto di ospitare Manifesta nel 2018 e sia in corsa per il titolo di capitale nazionale. Un disegno preciso che passa anche dallo stato di salute dei teatri maggiori e dal loro controllo.

È anche per questo che nel 2013 il Professore ha puntato sul governo di via Roma, dando il benservito allo storico direttore Piero Carriglio: al suo posto Orlando ha scelto Roberto Alajmo, giornalista della Rai, intellettuale di spessore ma che non può certo essere considerato un fedelissimo alla stregua di Giambrone. Una differenza che è saltata all’occhio proprio ieri quando Alajmo, alla richiesta di tagliare il personale, ha risposto con le dimissioni irrevocabili.

Perché i due teatri, malgrado le analogie, vivono due condizioni economiche assai differenti. Il Massimo, grazie ai sacrifici chiesti ai dipendenti e a vari tagli, è riuscito a tornare in attivo per tre anni consecutivi, tanto da meritare un riconoscimento in termini finanziari da parte del ministero. Il consuntivo 2015 si è chiuso con un utile netto di 103.240 euro, i dipendenti sono quasi 300 per una spesa di oltre 19 milioni, i biglietti venduti sono in aumento del 12% e le visite guidate sono praticamente raddoppiate. Conti talmente in ordine da non aver reso necessario, l’anno scorso, l’intervento straordinario dei soci (Stato, Regione e Comune).

Tutta un’altra musica al Biondo, dove i soci rimasti (fondazione, Comune e Regione ma non la Provincia) si ritrovano con un bilancio di circa 6 milioni di euro, in disavanzo di 140 mila euro. Il problema, semmai, è che lo Stabile finora ha vissuto quasi esclusivamente grazie ai contributi pubblici: nel 2013 l’incidenza di biglietti e abbonamenti sul budget era di appena il 3,6%, anche se oggi l’asticella si è alzata al 10,5. Il Biondo è un teatro più piccolo, con meno dipendenti (48) e stanziamenti minori: il Comune nel 2015 aveva promesso 1,75 milioni, anche se in realtà ne ha versati soltanto 1,5 nonostante fossero già stati spesi e nel 2016, a causa della mancata approvazione del bilancio a piazza Pretoria, la casella fa segnare lo zero spaccato; la Regione nel 2016 ha stanziato 404 mila euro sui 2,75 milioni previsti, senza considerare il fatto che nel 2015, a fine anno, si è scoperto che il contributo sarebbe stato tagliato di 110 mila euro nonostante i soldi già impegnati. Il ministero contribuisce con appena 920 mila euro, di cui solo 460 mila versati a inizio agosto, mentre la quota della Provincia, pari a 700 mila euro, è venuta meno e non è mai stata coperta. I debiti ammontano a 4,7 milioni, di cui 3 di scopertura con Mps.

Una situazione assai critica che ha avuto il suo culmine nel 2008/09, quando il Comune ha azzerato di punto in bianco e senza preavviso i 2,8 milioni di euro promessi: da allora lo Stabile è andato avanti a furia di anticipazioni bancarie con il Monte dei Paschi di Siena, su cui si pagano continui interessi. Un cane che si morde la coda, visto che i tagli continui dei soci (1 milione in meno nel solo 2014) si sono accompagnati a un lento declino della produzione.

Alajmo, in quasi tre anni, ha provato a invertire la tendenza: dalla stagione 2012/2013 a quella 2015/2016 i ricavi da botteghino sono passati da 207.199 euro a 899.724 euro, con un incremento del 334,2%; i ricavi da produzioni e co-produzioni che nel 2013 erano fermi a 21 mila euro, nel 2015 sono balzati a 514.443 euro (+ 2.349,7%). Sono diminuiti i costi: il personale dai 2,8 milioni del 2013, grazie anche al taglio dell’integrativo, oggi pesa 2 milioni tondi (-25,8%); la gestione è passata da 2,7 milioni a 2 milioni (-25,3%); collaborazioni e consulenze da 348.812 euro a 138.279 in quattro anni (-60,4%); i compensi del direttore da 195.467 a 131.219 (-32,8%).

Tanto, ma non sufficiente per i soci. Orlando ha infatti chiesto allo Stabile di tagliare 1,2 milioni l’anno per tre anni: in totale 3,6 milioni per ripianare il deficit ereditato in precedenza. E dal momento che né il Comune, né la Regione sono disponibili a contributi straordinari, i risparmi si potranno ricavare solo dalle produzioni (col rischio però di intaccare gli incassi) o dal personale (indietro di tre stipendi e della quattordicesima). Secondo alcune previsioni, ci sarebbero a rischio fra i 20 e i 30 posti di lavoro e paradossalmente, anche se il teatro chiudesse di punto in bianco, risparmierebbe appena mezzo milione visto che poi andrebbero rimborsati gli abbonati, pagate le penali e si vedrebbero venire meno i contributi ministeriali legati al mantenimento di rigidi standard. Una richiesta, quella del Professore, che ha sorpreso e non poco proprio perché accompagnata da pesanti critiche verso Alajmo, scelto dal primo cittadino stesso, e che arriva a ridosso della campagna elettorale.

Il cda non ha ancora trattato il punto delle dimissioni di Alajmo, ma il diretto interessato le ha definite irrevocabili. Il direttore, secondo alcune voci, non avrebbe acconsentito alla richiesta del sindaco di avviare i licenziamenti o di chiedere ulteriori tagli, né avrebbe mandato giù l’appellativo di “isola infelice” fra le partecipate che avrebbe provocato anche un danno d’immagine a un teatro che dovrebbe a breve cercare nuovi abbonati. Un feeling già messo in crisi l’anno scorso dal mancato riconoscimento come Teatro nazionale, che ha ridotto i possibili trasferimenti romani. Il pericolo è che lo Stabile non riesca a trovare un sostituto, non riesca ad avviare la campagna abbonamenti e a garantire spettacoli e produzioni: uno smacco difficilmente digeribile per Orlando che adesso dovrà cercare un valido sostituto, abbastanza fedele da rispondere ai suoi desiderata. Far chiudere il Biondo sarebbe un pessimo viatico per la campagna elettorale, specie in una città che si candida a diventare capitale nazionale della cultura.

 

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