PALERMO – * A causa di una svista, nell’articolo pubblicato il 12 maggio scorso, avevamo inizialmente attribuito una frase all’Avvocatura dello Stato, non contenuta testualmente nel parere di cui parlavamo nell’articolo. Abbiamo corretto il passaggio. Ci scusiamo con i lettori e i diretti interessati.
Non è una condanna, ci mancherebbe. E per i siciliani c’è solo da sperare che alla condanna non si arrivi mai. Sarebbe, infatti, solo l’ultimo degli scandali a investire la Regione siciliana negli ultimi anni. Ma ieri qualcosa è accaduto. Il pubblico ministero del tribunale di Palermo Luca Battinieri ha chiesto di condannare a quattro anni il Segretario generale della Regione Patrizia Monterosso.
Un fatto atteso, ci mancherebbe. E connesso, ovviamente, alla scelta della burocrate di seguire il rito abbreviato. “Dimostreremo la sua innocenza”, hanno detto gli avvocati Caleca e Mangano. Ed è tutto normale, in fondo. Meno normale è il silenzio. Quello di chi era frequentatore assiduo, dossier sotto il braccio, della Procura di Palermo. La stessa, a scanso di equivoci, che ha prima indagato Patrizia Monterosso e che ieri ne ha chiesto la condanna. Rosario Crocetta però tace. Ed è lo stesso governatore, per intenderci, che per quattro anni e mezzo ha puntato il dito contro questo e quello, cavando pochi ragni dai buchi del malaffare siciliano. Che ha allungato ombre sulla moralità di incensurati, che ha promesso punizioni esemplari sparando nei mucchi, che ha fatto di quella autoproclamata diversità etica la giustificazione stessa (difficile trovarne altre sul piano amministrativo) della sua “rivoluzione”.
Eppure, Crocetta tace. Non pensando minimamente a scelte che una volta venivano definite “di opportunità”, di fronte a una notizia che riguarda non proprio l’ultimo dei dirigenti. Ma il suo braccio destro. E braccio operativo, a Palazzo d’Orleans. Che, dopo l’addio alla Regione di Romeo Palma tornato nei ranghi della magistratura, adesso è anche l’unico capodipartimento “esterno”. Non un dirigente giunto lì grazie a un concorso, quindi, ma solo grazie alla chiamata diretta della politica. Dei politici. Prima, quelli che vivevano e crescevano all’ombra di Totò Cuffaro, poi di Raffaele Lombardo che la fece per primo capo della burocrazia regionale, quindi con Crocetta che ha seguito le linee tracciata dai suoi predecessori.
Anzi, il presidente gelese ha pure fatto di più. Perché se è vero che i guai giudiziari di Patrizia Monterosso affondano in vicende relative a precedenti legislature, è anche vero che tutto quanto è crollato in questi anni. È esploso proprio nell’era del moralizzatore. Perché nel frattempo, in attesa di una sentenza di assoluzione che non può non essere auspicata da tutti, Patrizia Monterosso ha subito una condanna contabile confermata poi in appello per 1,3 milioni di euro. La storiaccia era quella dei cosiddetti “extrabudget” nella Formazione. Erogazioni agli enti che i magistrati contabili hanno già, sentenza alla mano, considerato illegittime. Ed è sempre a quei fatti che si lega l’indagine per “mega-peculato”: alla Monterosso, in concorso morale con un’altra dirigente che ha rappresentato un punto fermo della burocrazia ai tempi di Crocetta, cioè Anna Rosa Corsello, viene contestato dall’accusa il tentativo di condizionare l’operato di quest’ultima burocrate proprio al fine di evitare la condanna della Corte dei conti.
Fatti più recenti, questi. Che però si legano sempre a quella vecchia storia. Ma il moralizzatore Crocetta, dicevamo, ha fatto di più. La Regione siciliana, infatti, impegnata quasi nel corso di ogni giunta di governo, ad autorizzare la costituzione di parte civile anche in processi contro criminali di provincia o anonimi seppur disinvolti funzionari pubblici, nel caso del braccio destro, del pilastro su cui si fonda l’esecutivo di Crocetta, ha deciso di evitare*
Ma Crocetta non ritiene, solo nel caso del suo braccio destro, che i siciliani possano chiedere un risarcimento nel caso in cui – la costituzione di parte civile si poggia sempre sulla presunzione, non certo sulla certezza di avere ragione nel corso del dibattimento – la dirigente venisse condannata per un presunto peculato da 11 milioni. Anzi, nel frattempo ha anche confermato Patrizia Monterosso, già gravata dalla condanna contabile, non solo al vertice della burocrazia siciliana, ma anche sulla poltrona di vicepresidente dell’Irfis, la “quasi banca” nelle mani della Regione. Nonostante tutto.
* A causa di una svista avevamo inizialmente attribuito una frase all’Avvocatura dello Stato, non contenuta testualmente nel parere di cui parlavamo nell’articolo. Abbiamo corretto il passaggio. Ci scusiamo con i lettori e i diretti interessati.