La feroce saggezza dei motti di spirito aveva già, da tempo, cristallizzato la metafora: “Il pidocchio ha la tosse”. Dicesi di individuo o aggregazione talmente impalpabili da risultare invisibili. Da qui la necessità di espettorare, con la massima enfasi, purché qualcuno volga il capo e noti ciò che altrimenti resterebbe nell’ombra.
Il pidocchio ha la tosse. Una suggestione irridente che non intende dare a nessuno del Pediculus humanus capitis (tale è il nome scientifico), ma che circoscrive una precisa categoria di soggetti, nel tragicomico baraccone delle elezioni siciliane: quelli che si agitano, che forniscono al loro diniego il valore di un evento epocale, che, con la notizia di una sottrazione, vorrebbero far credere di essere importanti, senza un corrispondente peso specifico. E’ la famosa inquietudine dei numeri zero.
Antonio Ingroia, per esempio. L’avevamo un po’ perso di vista tra le brume della sua ‘Azione civile’ e nei meandri di ‘Sicilia -e Servizi’, cantuccio di sottogoverno, garantito dal fraternissimo amico Saro. Sicché uno pensa: sarà, almeno grato, e sosterrà Crocetta nella sua battaglia per la sopravvivenza – tra borbotti e blandizie – all’interno del Pd. Macchè.
Puntata precedente: Ingroia, secondo indiscrezioni, va con Fava, immacolato cavaliere della sinistra che – tra i suoi compiti istituzionali – ha l’urgenza di rendere ancora più clamorosa la sconfitta dei democratici e del candidato Micari. Poi, il colpo di scena. Nota perentoria: “La candidatura di Claudio Fava alla presidenza della Regione siciliana è figlia di logiche verticistiche che Azione Civile ha sempre rifiutato. Un nome imposto dall’alto, senza il necessario confronto e senza nemmeno la chiarezza di un progetto assolutamente alternativo al Pd. Una candidatura, dunque, inaccettabile per ragioni di metodo e di merito, che Azione Civile non sosterrà”.
Grande trambusto in un accesso di tossicchiamenti. E sono tutti gioiosissimi. Claudio Fava che non dovrà fare i conti con un tale, ispido, compagno di viaggio. Antonio Ingroia che ha garantito un passaggio mediatico al nulla politico del suo movimento, grazie proprio alla proclamazione di un’assenza.
Poi c’è Giuliano Pisapia che parla ed espettora concetti a raffica, un po’ con il tono criptico e sacrale dell’Oracolo di Delfi. Il leader del Campo progressista, sicuramente, non sosterrà Fabrizio Micari e – da ciò che è dato di capire – nemmeno Fava. Il tutto – manco a dirlo – per favorire ‘l’unità del centrosinistra’ dopo il ‘disperato tentativo’ di mischiare i suddetti Fava e Micari allo stesso tavolo.
E uno già si immagina una trama angosciosa di telefonate, in crescendo pisapiano, tra Papa Francesco e Trump – entrambi collegati col centralinista del Campo progressista – per scongiurare la sciagurata ipotesi di una rottura. Pure qui, spicca la sottolineatura (ovviamente in rosso) di un distacco, perché non esserci è l’unico modo per sussurrare: io esisto. L’inquietudine dei numeri zero, sì.
E poi c’è Alfano (Alfano c’è sempre, un Alfano è per sempre) che ha presentato Fabrizio Micari, a Palermo. Lui raggiunge almeno lo zerovirgola, gli va riconosciuto, e soprattutto tenta un discorso diverso. Angelino non si stacca mai da nessuno. Fa finta di volersene andare perché brama l’inseguimento. Accenna il passetto verso l’uscita, con cautela, per dare agli altri il tempo di rincorrerlo. Se non lo rincorressero, sarebbe un guaio, resterebbe col piedino sospeso sulla porta, in una posizione scomoda (oltretutto, dagli ingressi, spesso tira un uaind dog – un vento cane – da raggelare le ossa). Ed ecco che gli altri – furbissimi – lo rincorrono e lo premiano.
Se l’inquietudine dei numeri zero va bene come immagine per tratteggiare l’insignificanza politica di Ingroia e Pisapia, per Angelino ci vuole uno scatto in più: la felicità dello zerovirgola che consente fortune, poltroncine e rendite molto al di sopra delle forze di cui si dispone. E, ancora una volta, vissero tutti alfaniani e contenti. A dispetto di tutti.