PALERMO – Questi sono Carlo e Claudio Camarda in una giornata di mare e di felicità. Carlo, trentun anni, a sinistra, colui che sorregge e nuota piano, con decisione, se è il caso, controcorrente. Claudio, trentaquattro anni, ragazzo autistico, in sintonia con la risacca. Sembra un pesce con gli occhi azzurri.
Quando la foto fu scattata, l’esistenza di Nino Camarda e dei suoi figli scorreva nel senso della corrente. Un padre giovane, seppure con i capelli bianchi che adesso dice: “Ho sempre cercato di evitare che Carlo portasse i miei pesi. Non ho mai voluto che si occupasse di Claudio, perché toccava a me. Fu lui a dirmi a un certo punto: ‘Papà, ora sono grande, spetta a me aiutarti e prendermi cura di mio fratello”. Era la consolazione di quei capelli candidi in cima a un cuore giovane, seppure non cercata. Un giorno me ne andrò – tutti i genitori di ragazzi autistici e speciali lo pensano – ma il mio bambino avrà qualcuno per sorreggerlo, non sarà solo. Si può chiamare felicità? Forse, si può dire: un sorso di normalità. Il mare non si chiede se è felice, gli basta essere bellissimo. E normale.
Appena un anno fa, l’evento che cambia tutto. Carlo, il ragazzo che nuota, si ammala ed entra in coma. Adesso, è ricoverato a Ferrara presso una struttura specialistica. Arriva il temporale. Due figli da curare. Nessuno che si prenderà cura di colui che appariva il più debole. Due figli bambini – uno da sempre, l’altro ritornato all’infanzia – da cui non è permessa alcuna assenza. Ma questa – per quanto ciò possa apparire incomprensibile – è soprattutto una storia di speranza. La racconta Nino. Lui è un po’ come il mare.
“Ho lavorato tutta la vita in ferrovia. Mi sposo. Nascono Claudio e poi Carlo. Claudio ha un problema che viene diagnosticato: autismo, ma non soltanto. E’ un figlio dolcissimo che comunica a suo modo. Carlo è sano, libero, coraggioso. A vent’anni va in Australia con un giornalista di National Geographic per un reportage. Studia e lavora fuori. Torna a casa e mi dice: ‘Papà, sono qui per toglierti un po’ di peso. A Claudio ci bado io’. Litighiamo. Io non voglio affatto. Voglio che Carlo abbia un’esistenza diversa dalla mia. Assistere un ragazzo con tante patologie, anche se è una benedizione del cielo, è pesante. Scordatevi ‘Rain man’ (Nino sorride), è tutta un’altra storia”. Niente da fare, Carlo è irremovibile. Porta con sé suo fratello e lo impone alla comitiva. Lo accudisce. Lo sostiene. La vita ha le sue increspature. Nino e Margherita divorziano. “Sono un ottimo padre, almeno cerco di esserlo, e un pessimo marito – dice Nino, con un mezzo sorriso – pure con la mia seconda moglie”. Cioè, Anna.
Passa qualche anno. Nino raggiunge faticosamente l’isola della serenità: “Pensavo: beh, è andata così. Non avevo cercato la responsabilità di Carlo, però non potevo di impedirgli di crescere. E pensavo, sì: il mio Claudio non sarà solo. Suo fratello è forte, sarà il suo angelo custode, il suo sostegno”.
Ecco l’onda che travolge tutto. “Carlo accusa dei terribili mal di testa. Gli scoprono un neurocitoma, un tumore raro e terribile. Lo operano, pare che la situazione sia a posto e che si debbano attendere i tempi della convalescenza. Ma c’è un effetto imprevisto, dopo l’intervento – la voce di Nino si spezza -. Mio figlio entra in coma. Non parla più, non si muove più, finisce nel fondo di un letto”.
Stenteresti a riconoscerlo, oggi, il ragazzo che rideva a pelo d’acqua, in una foto dal letto d’ospedale. Il suo corpo è mutato, anche se a pelo di sorriso – un sorriso angelico, irraggiungibile – capisci che è sempre lui. E dove starebbe la speranza? Nino risponde alla domanda inespressa: “La nuova situazione ha creato un’unione che io definirei un miracolo d’amore. E non sono una persona sdolcinata. Accanto a Carlo ci siamo ritrovati. Tutti. Io e Anna. Margherita, la mia prima moglie, col suo compagno. La fidanzata di mio figlio che è presente, con il suo affetto. Siamo tutti lì, solidali, partecipi. E questo mi dà speranza. Tanta speranza”. E non importa se i progetti di relativa tranquillità sono fragili cristalli sotto la bufera. Rilucono egualmente. Recita un proverbio della saggezza indiana: ‘Vuoi far ridere Dio? Spiegagli i tuoi piani’.
Nino è indaffaratissimo, va e viene da Ferrara al capezzale di Carlo. Presidia il centro ‘Corradini’ a disposizione dei ragazzi speciali e delle loro famiglie, in un bene confiscato accanto ai possedimenti del boss Rotolo. Lui è l’incrollabile papà che chiunque vorrebbe avere. I volontari hanno ripulito le stanze e coccolano gli ospiti. Un giro per rendersi conto che ‘Rain Man’ è la trasposizione poetica di un inabissamento emotivo che, giorno dopo giorno, si trasforma nella tecnica di un equilibrio difficile. Questo castello di stimmate e sogni, a due passi da viale Michelangelo, è una metafora di Palermo: l’impegno e la polvere di pochi, l’indifferenza e le chiacchiere degli altri.
Una scala a chiocciola. Un terrazzino. Una saletta di socialità. Ecco Claudio Camarda, figlio di Nino, che ti abbraccia, ti accarezza, preceduto dai suoi grandissimi occhi azzurri. Poi, sussurra qualcosa che, all’istante, non capisci. Qualcuno traduce il suono: “Ha detto ‘angelo’”.