Tra le mie tante nevrosi soffro dell’impossibilità di evitare la lettura di ogni foglio di carta stampata che mi capiti sottomano. Così, ad esempio, non riesco a gettare nel cestino nessuna delle tante riviste che mi arrivano puntualmente senza che le abbia mai richieste (né tanto meno pagate): mi sembrerebbe un sacrilegio nei confronti di chi le ha preparate, dai redattori al tipografo.
Per questa patologia mi sono trovato, alcuni mesi fa, a leggere il numero di aprile-giugno 2017 de “La carità”, Bollettino ufficiale dell’Istituto palermitano del “Boccone del povero” fondato da un venerato sacerdote dell’Ottocento, don Giacomo Cusmano. Anzi, più precisamente, si trattava proprio di un numero dedicato al 150° anniversario dell’inizio dell’Opera “Boccone del Povero”. Sin dalle primissime pagine – in sintonia con il vangelo di Gesù (il buon samaritano soccorre un giudeo: uno straniero, anzi un nemico dal punto di vista ideologico, etnico e religioso!), con lo spirito di don Giacomo Cusmano e con l’insegnamento di papa Francesco – l’arcivescovo Corrado Lorefice raccomanda attenzione alle nuove povertà e, tanto per non essere frainteso, cita esplicitamente la situazione degli immigrati: “Quante famiglie oggi piangono: le nostre famiglie palermitane e quante altre famiglie bussano alla porta di Palermo, approdando attraverso il mare e anche loro scappano dalla povertà, scappano dalla guerra; quale similitudine!” (p. 4).
Poco dopo, però, mi sono trovato davanti, con qualche stupore, l’articolo di Aldo G. Jatosti . Stupore non certo dovuto al fatto che l’autore segnali problematiche fantasiose (la questione della convivenza fra “noi” e l’Islam è reale, oggettive, direi drammatica) ma per la tesi di fondo dell’autore, sintetizzabile nella convinzione che una “civile convivenza” fra noi e gli islamici sarebbe assai improbabile, se non impossibile.
A me pare bello che un periodico cattolico ospiti, nello stesso numero, una tesi ortodossa (vangelo-don Cusmano- papa – arcivescovo di Palermo attuale) e una tesi opposta (Aldo G. Jatosti): vuol dire che stiamo lasciando alle spalle censure e scomuniche inaccettabili. Meno bello mi è sembrato il fatto che , avendo inviato alla medesima rivista, una nota di critica all’articolo leggermente, ma inconfutabilmente, xenofobo, non abbia ricevuto né in pubblico né in privato risposta alcuna.
Che cosa sostenevo di tanto scandaloso da non dover essere preso neppure in considerazione per una replica? Che i lettori nei cinque continenti de “La carità” (il cui numero mi è ignoto, ma del cui senso critico non mi è lecito dubitare) potessero – dopo aver ascoltato le ragioni di un autore che aveva citato con approvazione I nuovi perseguitati di Antonio Socci e Sulla immigrazione del cardinale Giacomo Biffi– avessero la possibilità di vagliare delle opinioni di segno contrario. Sinteticamente:
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una “civile convivenza” fra cristiani e islamici è impossibile? Falso. Lo attesta l’esperienza storica non solo medievale (vedi la Sicilia per sette secoli), ma contemporanea. Milioni e milioni di musulmani, infatti, vivono in Europa e negli Stati Uniti d’America in perfetta sintonia con le leggi, con i costumi, con gli stili quotidiani dei concittadini (cristiani, ebrei, agnostici o atei che siano). Gli inglesi, che hanno il palato fine e un po’ schizzinoso, non hanno avuto riserve nell’eleggere un musulmano credente e praticante a sindaco di Londra;
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i musulmani, moderati e pacifisti, non possono rappresentare come interlocutori del dialogo anche le “frange” di militanti dell’Isis ? Vero, come i cristiani non possono rappresentare anche le milizie armate in Irlanda, in Libano, negli Stati Uniti d’America (razzisti del KKK e fautori della pena di morte), in Salvador e nei Paesi in cui partiti fascisti hanno decimato preti e laici impegnati nella “teologia della liberazione”. Infatti la maggioranza dei musulmani è, statisticamente, la più perseguitata dalle frange fondamentaliste così come i cristiani di destra colpiscono quasi sempre altri cristiani progressisti;
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i Paesi arabi a maggioranza islamica non trattano i cristiani con la stessa liberalità con cui i Paesi a maggioranza cristiana trattano gli islamici? Vero, infatti Gesù ha detto di superare la legge del taglione (“occhio per occhio, dente per dente”) ma di trattare bene chi ci tratta – almeno sino a quel momento – male;
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il Corano si presta a varie e opposte interpretazioni? Vero, esattamente come la Bibbia ebraico-cristiana. “Il conflitto delle interpretazioni” è il sale della vera fede, purché si rispettino i diritti fondamentali dei disputanti;
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non sono proprio i “diritti fondamentali” a essere calpestati dai musulmani, sia quando disputano fra loro sia quando disputano con soggetti esterni all’islamismo? In un certo senso è falso: la stragrande maggioranza dei musulmani rispetta la Carta dei diritti dell’uomo e del cittadino (non solo in Paesi occidentali, ma anche in molti Paesi a maggioranza araba come la Tunisia, il Marocco, l’Algeria e sino a poco tempo fa anche la Turchia). Per delle minoranze (stiamo parlando dell’1% dei musulmani sparsi per il mondo) è vero che non rispettano i diritti dell’uomo (e soprattutto della donna): queste minoranze, che a differenza dei cristiani non sono stati purificati dal bagno dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, ragionano ancora come in Europa si ragionava sino al XIX secolo (e su certe questioni sino al Concilio Vaticano II del 1965). Se non cambieremo alcune strategie politiche neo-colonialiste e vistosamente di parte (un caso per tutti: l’appoggio alla politica terroristica del governo israeliano nei confronti dei palestinesi, nonostante le proteste di tanti cittadini ebrei e di tanti osservatori cristiani), sarà difficile che con la repressione violenza aiuteremo le frange estremistiche islamiche a uscire dalla fossa d’inciviltà in cui si sono imprigionati.