PALERMO – “La mia azione di contrasto alla mafia non era fatta di parole, ma di fatti. Come l’avere portato Giovanni Falcone agli Affari penali”. Rivendica le sue battaglie contro Cosa nostra l’ex ministro Calogero Mannino che oggi ha reso lunghe dichiarazioni spontanee al processo d’appello che lo vede imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato in uno stralcio del procedimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Mannino ha scelto il rito abbreviato e la sua posizione è stata separata da quella degli altri imputati. Al termine di un processo durato tre anni l’ex esponente Dc è stato assolto in primo grado, mentre i coimputati – ex ufficiali dell’Arma, politici come Marcello Dell’Utri, Massimo Ciancimino e capimafia- sono stati condannati a pene pesantissime.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’ex ministro, entrato nel mirino della mafia per aver tradito i patti stretti coi clan, avrebbe, attraverso i carabinieri del Ros, spinto perché pezzi dello Stato avviassero un dialogo coi boss. Ma nella sua difesa l’ex ministro rivendica invece il nuovo corso che, a suo dire, avrebbe impresso alla Democrazia Cristiana, di cui divenne commissario regionale, proprio in materia di lotta alla mafia. E cita una conversazione con il giudice Giovanni Falcone che lo invitò ad accettare la carica di commissario del partito dicendogli esplicitamente che nel portare avanti una battaglia efficace contro i clan l’appoggio della politica era indispensabile. “Lei ha una responsabilità”, gli avrebbe detto il magistrato inducendolo ad accettare l’incarico. Mannino ha anche rivendicato il suo sostegno a Falcone nella nomina a direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia e, prima, le pressioni esercitate perché venisse approvata la proposta legislativa del Pci che prevedeva il reato di associazione mafiosa. (ANSA).