PALERMO – Due assoluzione e una condanna. È stata quasi del tutto ribaltata in appello la sentenza con cui il giudice monocratico di Palermo condannò, per lesioni colpose gravissime, il direttore del dipartimento materno-infantile del Policlinico, Enrico De Grazia, il geometra e tecnico del Policlinico Aldo La Rosa, e l’imprenditore Francesco Inguì, titolare della Sicilcryo srl di Marineo.
I tre erano stati ritenuti responsabili dell’incidente che provocò la somministrazione di azoto, invece che di ossigeno, a un neonato che riportò danni cerebrali irreversibili. Oggi la corte d’appello ha assolto De Grazia, difeso dagli avvocati Francesco Crescimanno e Giovanni Di Benedetto, e Inguì difeso da Luca Inzerillo con la formula perché il fatto non sussiste”.
De Grazia aveva avuto un anno e mezzo, Inguì tre anni, la pena massima per questo tipo di reato. La corte ha ridotto invece la pena per La Rosa che ha avuto un anno e mezzo: in primo grado era stato condannato a tre anni. Il reato andrà in prescrizione nelle prossime ore. Confermata però la provvisionale immediatamente esecutiva di un milione e 200mila euro per la famiglia del bambino costituita parte civile. Francesco Inguì, titolare della ditta Sicilcryo srl, nel 2010, eseguì i lavori sull’impianto di gas medicali del reparto Maternità del Policlinico; Aldo La Rosa era direttore dei lavori.
Al neonato, oggi è un bimbo che non parla e non cammina, venne somministrato protossido di azoto invece di ossigeno per 68 minuti: errore costatogli una paralisi cerebrale infantile. Il processo era arrivato a sentenza dopo 7 anni dai fatti per vari avvicendamenti del magistrato giudicante. Il bambino ha bisogno di assistenza continua. Dopo la nascita Andrea mostrò segni di sofferenza. I medici decisero di somministragli l’ossigeno. Ma nel tubo dell’impianto appena rifatto dalla Sicilcryo srl e mai collaudato c’era invece protossido di azoto, un gas anestetizzante che il neonato respirò per un tempo interminabile.
“Non fu eseguita alcuna prova di gas specificità né le opere vennero collaudate – scrisse il giudice di primo grado – Ciò nonostante le prese erano state dotate di flussometri e attacchi che rendevano immediatamente fruibile l’impianto di gas medicale”.