La fine dell'estate | dice sempre addio - Live Sicilia

La fine dell’estate | dice sempre addio

Così arrivano i nostri autunni.

Garofalo all'occhiello
di
3 min di lettura

Mi accorsi che l’estate era finita un pomeriggio sul tardi, tornando a piedi spingendo il Ciao con la ruota bucata. Le mani sporche, il sudore, la polvere appiccicata e le nuvole che si muovevano veloci nel cielo mi dicevano che il tempo stava cambiando. Mi accorsi che era proprio finita l’estate una sera che ci ritrovammo dopo cena con un bicchiere di vino a ridere. In una casa di studenti fuori sede, in un disordine cosmico che sapeva di muffa, polvere, soffritti di cipolle e libertà. E si doveva ricominciare con le lezioni e i libri già l’indomani, ma adesso era meglio non pensarci e ascoltare barzellette sconce, chitarra, Venditti e De Gregori.

Mi accorsi che un bell’autunno era cominciato quando Stefano mi invitò ad una battuta di caccia. Svegliandoci che era ancora buio, in una cascina in piena campagna, sorseggiai un caffè che non ricordo di averne mai preso uno uguale. Poi, camminando per il bosco per tutta una mattinata, mi appassionai alla fedeltà affettuosa dei cani, diventando insieme a loro una squadra unita e solidale. E mi piacque tutto della caccia, dalle voci dei compagni, in mezzo a cespugli e rovi altissimi, alle corse dei cani e le soste a bere e raccontarci bugie e prenderci in giro. Tranne la fine degli animali; quella non la tollerai. Comprendevo in quei momenti quanto quella guerra sbilanciata sui più forti mi portasse dolore e sdegno.

Per questo quella fu anche l’ultima volta che andai a caccia. Mi accorsi ancora che l’estate era finita una sera che Alessandra mi comunicò la separazione da Gianfranco. Me ne accorsi perché pioveva e ci bagnammo le scarpe e i pantaloni cercando di evitare le pozzanghere. E vidi che anche in viso lei era bagnata, quando ebbe finito di parlare. Non capii mai se fossero gocce di pioggia o lacrime; avrei dovuto chiederle che sapore avessero. Mi disse che l’aveva sentito mentre pronunciava la parola “addio”. Ma l’addio, ogni addio, dovrebbe essere considerato un reato.

Dovrebbe essere perseguibile a norma di legge: condannare chi l’ha dato, risarcire chi l’ha subito. Dovrebbe essere considerato per quello che è: un furto. È ladro di sé stesso chi dice addio ad un altro, privandolo per sempre della sua presenza. È una violenza “ex vacuo”: si svuotano vite altrui lasciando un buco, grande o piccolo, a volte senza misura. È un’arma non convenzionale, da cui può essere difficile proteggersi, specie se non si ha una corazza forte. Avrei voluto dirle, ma non ne fui capace, che anch’io ne sapevo qualcosa, e che conoscevo la rabbia di sentirsi gettato addosso l’inizio di un inverno, mentre covava dentro la maledetta sensazione che per lei, dopo avermi detto addio, cominciasse un’altra estate. Anche se non era vero. E sarebbe stato il tempo di parlarsi, quando non c’era più tempo.

Mi accorsi infine che l’estate era proprio terminata il giorno che accompagnai mio padre a fare una radiografia, perché il suo autunno, prossimo al peggiore inverno, mi stava raccontando molto di quello che avrei fatto da quel momento in poi, proprio da quell’autunno, per molti anni dopo. E che all’autunno seguisse l’inverno, e che l’inverno fosse fatto di neve, e quanto la neve copra e protegga la vita, ogni vita, anche quando sta per spegnersi, lo capii allora. Non mi disse nemmeno addio, all’ultimo, ma me lo fece capire. E da allora mi accorgo sempre che l’estate è finita dagli addii. Quelli comminati e quelli subiti. Quelli decisi e quelli piovuti addosso, come un temporale.

Ma l’addio, ogni addio, dovrebbe essere punito, perché spesso è una bugia: non è vero che svanisce chi dice addio; non si annulla, non si dilegua, non sparisce, anche se vuole svanire, annullarsi, dileguarsi, sparire. Pronunciarlo alla fine dell’estate, poi, è un’atrocità ancora maggiore, perché lo scenario è proprio quello giusto: quello di un sole che sparisce, coperto dalle nuvole. Morire è un’altra cosa. Per qualcuno non è nemmeno un addio.


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