La condanna a Rino Giacalone | Fava e Giulietti: fatto preoccupante - Live Sicilia

La condanna a Rino Giacalone | Fava e Giulietti: fatto preoccupante

Commissione Antimafia e Federazione stampa italiana sulla sentenza che ha interessato il cronista

PALERMO – La condanna di Rino Giacalone per diffamazione al boss come campanello d’allarme sullo salute della libertà di stampa in Italia. Questo è il senso dell’iniziativa promossa dal presidente della commissione Antimafia dell’Ars Claudio Fava e dal presidente della Federazione nazionale stampa italiana, Peppe Giulietti, che si è svolta oggi a Palazzo dei Normanni.

“Non siamo qui per commentare una sentenza – ha affermato Claudio Fava aprendo il suo intervento – questa è piuttosto una iniziativa istituzionale in cui la commissione che presiedo prende posizione rispetto al tema. Giacalone è stato condannato per avere offeso la memoria del capo mafia Mariano Agate. Preoccupante – ha spiegato Fava – è la richiesta di pena detentiva presentata dalla pubblica accusa. È arrivata forse l’ora che la previsione del carcere nei processi di diffamazione sia tolta dalla cassetta degli attrezzi della giustizia italiana”

Per il deputato regionale non è solo una questione astratta. “Rino Giacalone – ha sottolineato Fava – è uno dei pochi giornalisti che, non solo ha scritto di mafia, ma ha scritto degli innominabili amici dei mafiosi di quel territorio. Ha scritto delle carriere straordinarie e sospette di alcuni notabili della politica locali. Ha scritto – ha aggiunto – dello straordinario intreccio fra gli interessi mafiosi, imprenditoriali, politici, finanziari e massonici e di come questo incontro ha costituito un grumo di potere solido apparentemente non scalfibile. Mariano Agate – ha proseguito Fava – era rappresentante di tutto questo ed infatti è stato onorevole membro di una loggia massonica e braccio destro di Totò Riina. Per questo considero la punizione che è stata inferta a Giacalone, decontestualizzata da quello che è accaduto in quella provincia”.

Poi Fava ha portato un esempio . “La Commissione di Cosa nostra – ha detto – non ha presentato un’azione di risarcimento civile contro Peppino Impastato per avere denominato la mafia una montagna di merda. Si scelse la via più breve. Può essere un fatto di poca eleganza giornalistica ma ritengo che non ci sia una colpa così grave se la stessa definizione sia stata data a Mariano Agate”.

Il caso del giornalista siciliano è stato così l’occasione per discutere dell’eliminazione della previsione normativa del carcere come pena per il reato di diffamazione, del tema delle querele temerarie e della protezione dei giornalisti “deboli” dal punto di vista della protezione mediatica ed economica.

“Quella che affrontiamo oggi – ha detto Peppe Giulietti, presidente di Fnsi – non è una questione privata. In tempi non sospetti la commissione Antimafia nazionale nella passata legislatura ha fatto una relazione nelle cu conclusioni indicava cinque punti di riforma della normativa sulla stampa. I testi però giacciono in parlamento senza essere esaminati. Non ci si rende conto – ha continuato – che chi minaccia il giornalista minaccia il cittadino a cui il giornalista rende noti gli intrecci affaristici che sono nascosti e di cui il cittadino deve essere informato”.

Sull’abolizione del carcere Giulietti è chiaro. “Non è una questione di protezione corporativa – ha sottolineato. L’Europa ci ha mandato a dire in più occasioni: ‘Levate il carcere dal reato di diffamazione’. Si è contro la previsione del carcere, al di là del giornalista coinvolto. Per questo quando ad aprile la Corte costituzionale esaminerà la legittimità costituzionale di una tale previsione noi interverremo per giustificarne l’eliminazione dal nostro sistema giuridico”.

Infine, Peppe Giulietti ha lanciato una proposta. Dall’insediamento del nuovo governo il ministro degli Interni Lamorgese con il sottosegretario Martella hanno riaperto l’Osservatorio sui cronisti minacciati. “Proporrò – ha affermato – di far venire tale organo in audizione a Palermo per raccogliere il materiale sui casi di minaccia alla stampa registrati, partendo dal caso del cronista Antonio Condorelli. In quell’occasione – ha aggiunto -vorrei che facessimo presente come la Sicilia possa vantare una norma di civiltà da esportare nel resto d’Italia, quella per la costituzione di un fondo per i giornalisti minacciati”.

Su quest’ultimo tema è tornato anche Claudio Fava. “Il tema – ha detto – va risolto concretamente. I giornalisti devono avere le spalle coperte e per questo occorre inventarsi forme giuridiche e sostanziali come ad esempio un fondo di rotazione. Un cronista non può essere chiamato in causa per nobilitare le sorti del giornalismo e poi gli diciamo te cause te le paghi da solo”.


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