CATANIA – Qualcuno, più di qualcuno, in questi anni lo ha detto, scritto, segnalato. I giornali, la società civile, persino le bacheche di Facebook: in modo diretto od obliquo, in modo elegante o meno, sono stati tanti, nel corso della sindacatura appena terminata a segnalare la necessità di cambiare rotta, di ascoltare un po’ di più i suggerimenti della gente, di non tirare dritto sulle proprie convinzioni a discapito del sentimento della città. Eppure, questo non è bastato per fare raddrizzare la barra dell’amministrazione Bianco, la cui “era” si chiude con la sconfitta di domenica scorsa.
Le amministrative del 2018 hanno decretato, senza paura di smentita, la fine di un’era relegando il ben quattro volte sindaco di Catania al 26% dei consensi. Una sconfitta bruciante ma non certo imprevedibile, considerato il clima che, da anni, avvolge l’amministrazione uscente e il primo cittadino in persona. Che forse oggi paga l’eccessiva chiusura nei confronti della città e le a volte troppo dure repliche a chi, a ragione o a torto, faceva notare problemi o questioni, la troppa sicurezza nel fatto che i catanesi lo avrebbero premiato per la quinta volta.
Così non è stato. Il sindaco uscente lascia il Palazzo – in cui rientra da consigliere comunale – sapendo di essere stato bocciato da una città che in più occasioni gli aveva, al contrario, dimostrato affetto e fiducia. Come in occasione delle scorse amministrative quando Bianco è riuscito a diventare sindaco al primo turno, sostenuto a livello trasversale dalla politica e dalla città e da una società civile che, stavolta, sembra proprio averlo mollato. Così come le associazioni e addirittura i sindacati che, pur sostenendolo a livello di lista, non hanno certo agevolato la corsa verso la riconquista della poltrona.
Da non dimenticare, poi, il rapporto con il Consiglio comunale, ambiente dal quale il sindaco uscente si è tenuto a distanza. Sporadiche le apparizioni del primo cittadino in aula, talvolta addirittura “convocato” appositamente dai consiglieri con i quali il rapporto non è sempre stato idilliaco. Tutt’altro. Diverse volte, infatti, Enzo Bianco e la sua amministrazione sono stati accusati di indiffereza nei confronti del senato cittadino, se non addirittura mancanza di rispetto. Un comportamento questo che, considerando l’importanza delle liste in questa tornata elettorale e il peso dei consiglieri candidati nel trascinare il candidato sindaco, è forse risultato fatale.
Al di là dei meriti o demeriti propri, poi, Enzo Bianco sconta anche le bufera giudiziarie che si sono abbattute negli ultimi anni sulla Giunta e su alcuni dei suoi più stretti collaboratori: vicende che, per quanto non lo abbiano coinvolto direttamente, non solo hanno investito fedelissimi e persone di fiducia dello primo cittadino, ma hanno scoperchiato sistemi non proprio trasparenti relativi ad aspetti fondamentali della vita cittadina.
Da non dimenticare, poi, la tensione tra sindaco e dipendenti comunali, di cui in questi 5 anni si è parlato tra i corridoi. Una tensione dovuta, a quanto pare, a un atteggiamento non proprio collaborativo tra il capo del governo e i lavoratori del Palazzo. Che potrebbe aver contribuito al flop. Non ci vuole uno scienziato per immaginare come dell’esercito di dipendenti comunali – circa 3500 persone – avrebbero potuto fare qualche differenza.
L’accelerata finale verso il 26%, poi, potrebbe essere stata inferta dalle inaugurazioni dell’ultimo mese. Strade, piazze, cantieri che, per carità, sono realtà ed è giusto vadano comunicati e anche con entusiasmo. Ma che tutto questo sia avvenuto a un mese dal voto forse non ha pagato. Senza dimenticare l’affaire Tondo Gioeni che, al netto del gradimento della fontana, ha rappresentato la pietra tombale di questa amministrazione che probabilmente, nonostante gli indubbi meriti (per la cultura, il turismo, il reperimento di finanziamenti e le vetrine internazionali) sarà ricordata per aver demolito il cavalcavia.
Infine, potrebbe essere anche la voglia di cambiamento generazionale ad aver spinto gli elettori verso la proposta nuova. L’ondata gialloverde a livello nazionale e comunque le spinte verso i nuovi movimenti e le espressioni politiche potrebbero avere accelerato la disfatta di chi tutto sommato è sindaco dal 1989.
Certo, il trend nazionale non premia il centrosinistra ma gli elettori hanno forse bocciato anche chi, furbescamente, ha preferito eliminare un simbolo, quello del Pd, proclamandosi civico, respingendo anche quei voti – pochi, senza dubbio – di chi il Partito democratico lo voterebbe ancora. Proprio perché è Pd. Le scarse performance delle liste (senza simbolo) riferimento diretto del deputato regionale Luca Sammartino – solo una ha superato il 5% – campione di voti proprio dei democratici, potrebbero suffragare questa tesi.