L’omicidio di Paolo Borsellino è uno di quegli eventi nei quali le vicende pubbliche si saldano inestricabilmente con le vicende private. O almeno con le vicende private di chi, all’epoca, viveva Palermo: una città che non ti piace ma che, alla fine, ami proprio per questo.
Perché avere vissuto Palermo a cavallo degli anni Ottanta, non è un’esperienza come un’altra. Perché avere vissuto Palermo, in quegli anni, ti ha costretto a sciogliere faticose contraddizioni; ti ha costretto a capire che le cose sono complesse; ti ha costretto a tentare di fermare la rabbia con la sola ragione. Perché sette anni prima del 1992 due studenti, non ancora maggiorenni, morivano travolti dalle auto blindate di magistrati che follemente correvano nel centro della città: e uno di quei due magistrati, così follemente protetti, era Paolo Borsellino. Perché tre anni prima qualcuno, da quella parte della barricata, metteva l’esplosivo sotto la villa al mare di Giovanni Falcone e qualcuno, da questa parte della barricata, diceva che quell’esplosivo Falcone se l’era messo da solo, per fare carriera. Perché, prima del ’92, nonostante il risultato storico del maxiprocesso, i cassetti delle indagini traboccavano comunque di sabbia. Poi Falcone è morto davvero: la sua carriera si è interrotta; i suoi cassetti sono diventati lindi e puliti; i suoi detrattori amici di lunga data. Ma neppure la morte di Giovanni Falcone ci ha toccato fino in fondo.
Falcone era un extraterrestre, non aveva figli, era totalmente dedito a una missione; la sua morte, anche per le imprevedibili modalità con cui è avvenuta, non apparteneva a questa terra. Paolo Borsellino, invece, era un terrestre, padre di tre figli. La sua morte, per le prevedibilissime modalità con cui è avvenuta, appartiene totalmente a questa terra. Ecco perché l’immagine postuma emersa in questi vent’anni non lo riflette. È l’immagine di un uomo solo, al quale era stato spento il sorriso. E invece Paolo era il sorriso. Era il sorriso luminoso che si può vedere oggi nelle foto che Manfredi ha voluto regalare a tutti noi. Era il sorriso di chi viveva la vita con serenità e di chi amava la semplicità delle cose, pur senza ignorarne la complessità. Era un sorriso, se ci si fa caso, molto diverso da quello di Giovanni Falcone. Borsellino rideva con i denti; Falcone con gli occhi. Borsellino aveva un modo di osservare le cose diretto; Falcone obliquo. Anche per questo, credo, si completavano. Perché avevano due modi diversi di sorridere e di guardare il mondo.
Ma il mondo che desideravano era lo stesso. Ed è un mondo che non riuscirono mai a vedere e che neppure noi, nonostante il loro sacrificio, intravediamo. Perché quel mondo, oggi, non è poi molto diverso. Perché dopo venti anni i discorsi e le condotte, pubbliche ma anche private, non sono poi così cambiati, se non nella superficie o in occasione delle commemorazioni.