Sarebbe fin troppo facile seppellire Beppe Lumia sotto la prima pagina del “Corriere” che ospitò un famoso articolo di Leonardo Sciascia sui professionisti dell’antimafia. E sarebbe ingiusto, forse. In effetti, nell’immaginario collettivo, egli è talmente incarnato nel ruolo (nel bene e nel male, visto che ha pagato col rischio il suo lavoro e questo gli va riconosciuto, con onore e apprezzamento sincero) che quel pezzo di giornale si attaccherebbe alla sua pelle di politico navigato, da sè, senza un refolo di vento. Stavolta bisogna dunque leggere con attenzione quello che egli ha sillabato in una intervista rilasciata all’Unità. Lumia si prefigge un compito gravoso. Intende “portare l’antimafia al governo e provare a squassare il sistema di potere e di collusione dall’interno è l’unica strada non ancora tentata in questa regione per cambiare”. Così apprendiamo che fino a ieri ha governato la mafia, se l’antimafia non c’era. E’ la conclusione forse un po’ paradossale del ragionamento. Se il palazzo del potere necessità di uno squassamento tale, di un ribaltone che distorce vecchi equilibri per erigere una nuova e malcerta armonia, significa che il livello d’allarme è al massimo. E potrebbe pure essere.
Ci lascia perplessi un elemento, però. La distruzione del potere che Lumia auspica avvenga dall’interno. Che vuol dire? Che la vittima deve infiltrarsi, offrire un caffè al boia e pugnalarlo? Che il rabbino ha da prendere la gazzosa col gerarca nazista? Che l’antimafioso dovrà strisciare il suo gomito inclito con l’altro turpe e pelosetto del mafioso per fotterlo meglio? Perché poi si sa come va, uno entra nelle stanze del palazzo, chiacchiera con le segretarie, si siede e dimentica il tritolo in portineria. Si cambia senza volerlo. Oppure il Pietro Micca di complemento dà fuoco alle polveri e rimane egli stesso sotto le macerie. Ma state tranquilli e non trattenete il respiro. Nel caso, l’onorevole Lumia si metterà in salvo, con un balzo legalitario, un attimo prima del crollo. Forse il Pd no.