Sì, è stato certamente a causa delle eccezionali precipitazioni di questi giorni, ma “non può non essere presa in considerazione la leggerezza di alcune scelte territoriali, che si sono rilevate determinanti negli effetti provocati dal dissesto idrogeologico”. Non si tratta di qualcuno che parla a posteriori, dopo l’immane tragedia che ha sconvolto il Messinese, ma è il testo della “Relazione sull’attività del dipartimento della Protezione Civile siciliana sul dissesto idrogeologico dei versanti del territorio del comune di Messina” consegnata alla procura del comune dello Stretto nell’ottobre 2008. Era già tutto previsto, con tanto di pre-allerta. “Il degrado dei corsi idrici del messinese – si legge nella relazione – è un fenomeno ormai generalizzato e diffuso”, capace di provocare un “vero e proprio disastro”.
Il dito è puntato contro la cementificazione avvenuta in quelli che erano gli alvei di torrenti e fiumi. “Nella provincia di Messina – si legge – il dilagare del processo di urbanizzazione ha reso sempre più critiche le condizioni di vivibilità delle aree più vulnerabili. La disordinata crescita urbana, la cementificazione dei corsi d’acqua (sono 22 sul versante tirrenico e 44 su quello jonico) e dei versanti, hanno tessuto una trama territoriale estremamente fragile e degradata”. Tutte le frane e le alluvioni verificatesi negli anni nella zona, sono causate da abbondanti piogge ma anche da un territorio “con squilibri idrogeologici non disgiunti da cause antropiche, tra cui la progressiva deforestazione dei bacini idrografici e la cementificazioni dei versanti dei bacini e delle aste fluviali”. E poi c’è il dato storico delle precedenti alluvioni. Nel 1996, nel 1998 (tre morti nel torrente Annunziata e uno nel torrente Pace), nel 2002 (caddero in 40 minuti 40 millimetri) e nell’ottobre del 2007, evento che fece scrivere ai tecnici della “criticità del sistema idrografico messinese”.
“Le precipitazioni eccezionali hanno rappresentato certamente la molla, l’energia” continua la relazione, le conseguenza hanno però “mobilitato tutti gli altri elementi già presenti sul territorio e predisposti per far sì che un fenomeno naturale si trasformasse in un vero e proprio disastro”. Gli alvei sono “risultati insufficienti a far defluire l’onda di piena… perché occupati da immobili di varia natura”. Un disastro legato all’espandersi dell’urbanizzazione e al continuo disfacimento degli ecosistemi naturali. Gli sfoghi dei torrenti sono chiusi o, al massimo, ridotti. “Nei torrenti coperti la mancanza di accessi laterali impedisce la pulizia periodica, causando la possibile ostruzione della sezione di scorrimento e provocando il trasporto di materiale fangoso e l’allagamento delle strade, che si trasformano in vie di deflusso verso il mare” è scritto nella relazione che pare prevedere quanto è accaduto lo scorso 1 ottobre. Poi i tecnici parlano di quanto hanno trovato nei diversi sopralluoghi: “camping, parcheggi, campetti di calcio, insediamenti abitativi e produttivi, aree destinate all’agricoltura e allo stoccaggio di materiali vari, recinti per animali, elettrodotti e strutture per le telecomunicazioni, cancelli e baracche”. Opere eseguite “anche in violazione delle vigenti norme al testo unico sulle acque e sulle opere idrauliche ed alla normativa edilizia e urbanistica”.
La relazione si conclude con l’osservazione che questa situazione porta “problemi gravi che vanno al più presto affrontati in un’ottica di interventi integrati che, superando l’assurda logica economica, favoriscano il raggiungimento di quell’equilibrio ecosistemico che da molto tempo la geografia indica come l’unica possibilità per uno sviluppo sostenibile”. Per farlo sarebbero serviti una serie di “interventi strutturali utili ai fini della salvaguardia della popolazione”. Interventi che sono stati puntualmente disattesi.