CATANIA – «Trasformare i grandi complessi in disuso della città di Catania – Vittorio Emanuele, Santo Bambino, Santa Marta, Ferrarotto, officine AMT – in nuovi hub socio-culturali, con un progetto coesivo che guardi al futuro»: è questo il senso di una strutturata proposta che arriva da un gruppo di 15 enti e associazioni che operano nel territorio catanese e che, mentre si stanno impegnando ad ampliare la rete dei soggetti coinvolti, chiedono alla Regione e al Comune l’istituzione di un tavolo di lavoro permanente affinché il futuro di questi spazi venga ripensato attraverso una progettualità condivisa.
Il documento
«Abbiamo partecipato e assistito ad incontri, sopralluoghi e convegni sul futuro di questi grandi contenitori svuotati delle aree centrali di Catania. Insieme ad altri ci siamo chiesti cosa accadrà nell’immediato venendo meno le precedenti funzioni, e cosa accadrà in futuro qualora quegli enormi spazi rimanessero inutilizzati o cambiassero radicalmente destinazione d’uso», si legge nel documento che ha come primi firmatari Compagnia delle Opere Sicilia, Associazione Officine Culturali Impresa Sociale ETS, Associazione Culturale Darshan, Associazione Culturale Gammazita, Associazione Culturale Isola Quassùd, Associazione Musicale Etnea, Badia Lost and Found Società Cooperativa, CittàInsieme, Comitato Popolare Antico Corso, Compagnia Marionettistica F.lli Napoli, Cooperativa Sociale di Comunità Trame di Quartiere, Farm Cultural Park, Nino Bellia, Teatro Impulso, Whole Urban Regeneration e che resta aperto ad eventuali ulteriori adesioni.
I bisogni del territorio
Una rete di realtà che si ritrovano vicine nella consapevolezza di una serie di bisogni diffusi del territorio, a cui questo tempo di crisi socio-economica e culturale rende ancor più urgente rispondere: «Questa città vive contraddizioni laceranti ed esclusioni sociali profonde ed estese, che la crisi sanitaria del 2020 ha solo accentuato. Per conto nostro, che ci occupiamo da tempo di partecipazione culturale, un impiego pianificato di azioni culturali inclusive e abilitanti, capaci di creare aggregazione, consapevolezza e risposta ai bisogni educativi e ricreativi, può contribuire ad un piano generale di welfare ormai necessario. Solo azioni di welfare, sia istituzionale che comunitario, possono ambire a mitigare e contrastare tali contraddizioni, nelle forme delle povertà economiche, delle povertà educative, delle diseguaglianze».
La lettera alla Regione
«Pensiamo – ribadiscono i promotori nella lettera inviata al Governo Regionale e all’Amministrazione comunale catanese – a un welfare culturale che agisca sul corpo sociale, aiutandolo ad affrontare i suoi malanni e accompagnandolo in una auspicata guarigione attraverso attività mirate a ricucire gli strappi, alla coesione aperta delle comunità, troppo spesso rancorose e tendenti alla chiusura ostile di ciò che è ‘altro’, al contrasto di quelle povertà educative che ci privano di autonomia e pensiero critico: tutti ingredienti necessari per attivare forme di sviluppo a base culturale, anche attraverso attività artigianali e produttive, per ambire a generare un corpo sociale sano e poroso al mondo in cui vive; per fornire delle possibilità di scelta a quelle generazioni di bambini e ragazzi che vivono la propria infanzia e adolescenza privati spesso dei diritti essenziali».
Gli esempi in Italia
In Italia, e nel suo meridione, esistono esempi virtuosi e modelli sostenibili a cui guardare con interesse: basterebbe pensare all’Ex Fadda di San Vito dei Normanni in Puglia, o in Sicilia ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo: «Dall’educazione informale alla peer education, dal teatro alla musica, dal design al gioco, dall’audiovisivo all’artigianato, dalla cultura alimentare a quella del benessere psico-fisico, questi contenitori potrebbero diventare luoghi di conoscenza accessibile e co-prodotta, inclusivi e plurali: luoghi che possano ospitare le tante organizzazioni competenti e cooperanti presenti sul territorio, facilitatrici di una coesione sociale di cui questo presente ha bisogno per costruire un futuro in cui le diseguaglianze possano essere consapevolmente contrastate».
Il tavolo
Da qui, la richiesta di un tavolo di lavoro permanente, aperto ad ulteriori adesioni e indirizzato al raggiungimento di obiettivi comunemente individuati: «Per fare un passo forte in questa direzione basta che i decisori, coloro i quali di quegli edifici potranno disporre i futuri utilizzi, si fermino un momento e coinvolgano cittadini, associazioni, imprese e reti, in un percorso di ascolto ed elaborazione condivisa delle scelte.Ascoltando e co-progettando. Noi ci siamo».