Un famoso politico dichiarato colpevole di collusione con la mafia amava dire “A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”. Potrà sembrare allora un po’ stravagante che un magistrato antimafia come me citi una frase simile. Eppure, spesso la tentazione è forte e talvolta irresistibile. I cattivi pensieri a volte vengono in mente naturalmente, senza sforzo. Ed in questo inizio d’anno qualche cattivo pensiero mi è venuto in mente considerando lo stato dell’arte in tema di destinazione dei beni confiscati alla mafia.
Mi spiego. È noto che l’aggressione ai patrimoni costituisce uno strumento essenziale per smantellare l’economia mafiosa. Ed è altrettanto noto che confiscare beni di provenienza illecita non basta. Per costruire un’antimafia non solo delle manette, ma anche conveniente, occorre che le confische non siano fini a se stesse, ma si trasformino in beni motori di sviluppo economico. Questa è già una realtà da un pezzo, da quando alla confisca segue la destinazione dei beni a fini sociali o istituzionali, con l’assegnazione dei beni produttivi alle cooperative giovanili che lavorano la terra e ne commercializzano i prodotti, ovvero la riconversione di un bene immobile per farne una scuola o una caserma per le forze dell’ordine. Di recente, però, la normativa è stata innovata, con l’istituzione di un’Agenzia nazionale che dovrebbe rendere più funzionale l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, e con l’introduzione della possibilità di vendere il bene, dopo che si sia rivelato infruttuoso il tentativo di destinarlo a finalità sociali o istituzionali.
Forti furono le obiezioni sollevate contro la possibilità di rivendere il bene confiscato, perché si diceva, a ragione, che vi era il forte rischio che il bene potesse essere riacquistato, con l’ausilio di prestanome, dalla stessa mafia. Con ciò che di negativo ne conseguirebbe, sia per il significato simbolico di questa riconquista mafiosa del territorio, sia sotto il profilo del rafforzamento dell’economia criminale.
Negli ultimi tempi, però, si susseguono le notizie che evidenziano le difficoltà e i limiti dell’attuale sistema di assegnazione dei beni confiscati, che rimangono per anni senza destinazione. Ecco, allora, che comincia a fare breccia il primo “cattivo pensiero”: non diventa forse il male minore, in certi casi, la vendita del bene altrimenti non piazzabile? Non è che, forse, si è perso del tempo per fare una battaglia solo di principio, quasi ideologica e poco pragmatica?
È veramente così? Non so, non credo. Infatti, se andiamo a vedere le cause dello scarso funzionamento del sistema di assegnazioni dei beni, ci rendiamo conto che passa troppo tempo, spesso inutilmente, fra la confisca e l’assegnazione, a causa della troppa burocrazia, della troppa frammentazione dei poteri fra organi diversi (Agenzia Unica, Ufficio del Demanio, Prefettura, Enti Locali, etc.). In realtà, la semplificazione delle procedure che doveva essere introdotta dall’agenzia unica non si è mai verificata. Ecco, allora, che viene un altro cattivo pensiero: non è che stavolta le cose non funzionano bene non solo per le solite inerzie e inadeguatezze, ma anche perché manca il reale interesse a risolvere certi problemi?