Agrigento, la mafia e la telefonata di minacce

Agrigento, la telefonata e la violenza: “Io gli tolgo la vita”. Il processo

Criminalità e violenza: l'incendio

AGRIGENTO- Direttamente a processo, e senza passare dall’udienza preliminare, con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Lo ha disposto il giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio nei confronti di tre persone di Canicattì, accogliendo così la richiesta del procuratore aggiunto Sergio Demontis e del sostituto Claudio Camilleri.

Si tratta di Antonio Maria, 74 anni, Antonio La Marca, 34 anni, e Giovanni Turco, 24 anni (difesi dagli avvocati Salvatore Pennica, Annalisa Lentini, Giovanni Salvaggio e Giacinto Paci).

La prima udienza a loro carico si celebrerà il prossimo 13 novembre davanti la seconda sezione penale del tribunale di Agrigento presieduta dal giudice Wilma Angela Mazzara.

L’estorsione e i danni

Al centro dell’inchiesta una estorsione ai danni della proprietaria di un magazzino a Canicattì. Il principale personaggio dell’intera attività investigativa è certamente Antonio Maira: una lunga lista di precedenti ma soprattutto uno spessore criminale non indifferente.

L’uomo avrebbe minacciato e costretto la signora a non affittare i suoi locali a soggetti che avevano intenzione di aprire una officina e che avrebbero potuto dunque creare concorrenza a La Marca, titolare della medesima attività commerciale.

“Chi gli toglie il pane…”

Intercettato parlava così: “Chi gli toglie il pane a mio nipote io gli tolgo la vita .. mi conosce a me? Sa chi sono io? Tuo figlio non ne deve affittare… per soverchia…”.

E ancora: “Mi conosce a me? Sa chi sono io? Si si.. in forma mafiosa ti sto dicendo che non si deve affittare quel magazzino… quella zona l’ho creata io e comando io”.

Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Agrigento e dal Commissariato di Canicattì sono iniziate ad aprile dello scorso anno in seguito al danneggiamento con incendio che ha interessato la saracinesca di un magazzino. Maira già dalla fine degli anni Ottanta viene indicato come uno dei membri della Stidda di Canicattì che poco più tardi dichiarerà guerra a Cosa nostra.

I pentiti Giovanni Calafato e Salvatore Riggio lo hanno indicato come attivo nel settore del traffico degli stupefacenti, aggiungendo anche che l’omicidio del figlio, Luigi Maira, trovato morto nelle campagne di Serradifalco il 23 marzo 1989, era stata una prima reazione di Cosa nostra all’inserimento del ragazzo nell’attività criminale.


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