Aldo, il calcio fatale e quella notte | Ecco tutta la confessione - Live Sicilia

Aldo, il calcio fatale e quella notte | Ecco tutta la confessione

Una foto dei funerali

Tutta la confessione del diciassettenne che ha ammesso di avere ucciso con un calcio alla tempia il giovane laureato in Medicina, Aldo Naro. Il racconto di quella terribile notte e le certezze degli investigatori. Si indaga sui partecipanti alla rissa e sui buttafuori in nero. In un rapporto i nomi di una decina di persone.

PALERMO – Nel pomeriggio del 17 febbraio Andrea si presenta al Malaspina. Siede davanti ai pubblici ministeri e ai carabinieri in una stanza del carcere minorile di Palermo. E inizia il suo racconto: “Sono venuto qui a costituirmi perché ero preoccupato in quanto ho saputo della morte del ragazzo in discoteca e siccome io avevo partecipato ad un rissa in quel locale quella sera ho pensato che dovevo venire qui a costituirmi per fare chiarezza su quello che è successo e sul mio ruolo”. Una rissa. Solo una rissa, Andrea continua a sostenere questa tesi. Sette ore più tardi racconterà un’altra verità che rappresenta il culmine delle indagini condotte dai carabinieri del Comando provinciale. Indagini che proseguono adesso sul fronte dei partecipanti alla rissa e sulla sicurezza del locale. Una decina di persone sono state individuate e denunciate fra coloro che hanno scatenato la lite quella notte e chi era pagato in nero come buttafuori.

C’è un prima e un dopo nel verbale del ragazzo. Prima nega di avere ucciso Aldo Naro. Dopo ammette di essere l’autore del delitto del giovane laureato in Medicina, morto all’interno della discoteca Goa. A spingerlo a confessare forse le parole di un amico e quelle del padre che durante l’interrogatorio gli vengono lette dai carabinieri che le hanno raccolte. La confessione, secondo gli investigatori, non lascia spazio a dubbi. Perché se è vero che ci sono fronti investigativi ancora aperti, altrettanto lo è che la genuinità del suo racconto non viene messa in discussione per le modalità e i tempi in cui è maturata la confessione.

“Sono stato chiamato dal mio amico Giuseppe Militano che fa il buttafuori al Goa, ogni tanto mi chiama, per farmi mettere qualcosa in tasca perché ne ho bisogno perché ho difficoltà economiche in famiglia – il minorenne giustifica così la sua presenza al Goa -. Io non ho alcuna licenza per svolgere l’attività di addetto alla sicurezza nei locali. Il mio compito è quello di evitare l’ingresso di persone non autorizzate che entrano scavalcano le mura del locale. Ero già stato a lavorare al Goa altre due volte”. Dunque Militano, figlio del boss dello Zen Carmelo, gestisce una squadra di buttafuori in nero. Chiama quasi sempre sempre le stesse persone e il minorenne era riuscito ad entrare nel giro.

La festa di Carnevale entra nel vivo: “Sono arrivato da solo verso le 10 e ho incontrato Giuseppe; dopo dieci minuti sono entrato insieme a Giuseppe e ad altri ragazzi che conosco solo di vista. Giuseppe mi ha spiegato dove posizionarmi e quindi mi sono recato fuori l’uscita di sicurezza che si trova vicino alle scale di accesso al privè dove è scoppiata la rissa. Sono stato lì fuori fino alle 2 e 30 di notte, poi sono entrato perché faceva freddo”.

Andrea, dunque, racconta che fa il buttafuori abusivo in discoteca. Nel privè ci sono una trentina di persone. Il clima si surriscalda: “Ad un certo punto ho visto del trambusto. Sono salito fino al privè e lì ho visto due ragazzi che stavano per litigare. Non erano ancora venuti alle mani, si limitavano a offendersi a parole. Sono intervenuto per calmare gli animi, ma di tutta risposta uno dei due ragazzi ha iniziato a colpirmi con calci alle gambe e schiaffi e pugni sulla parte alta del corpo.

Quindi è intervenuto un secondo ragazzo che ha iniziato anche lui a colpirmi e con dei pugni in testa che mi hanno fatto andare in confusione. A quel punto ho iniziato a difendermi menando colpi a caso in direzione di entrambi i ragazzi, non ricordo bene quali parti ho colpito. Poi è intervenuto un terzo giovane che mi ha tirato da dietro, sbattendomi contro una specie di ringhiera che delimita il privè dalla pista più in basso.. a quel punto sono stato tirato fuori dal privè e sono uscito nel giardinetto. Il primo ragazzo che mi ha colpito non aveva il volto dipinto, era chiaro di capelli e indossava una camicia chiara. Il secondo aveva il volto dipinto di bianco e una camicia scura. Il terzo aveva pure il volto dipinto di bianco”.

Andrea racconta in questa fase di essersi limitato a difendersi. Non c’entra nulla con la morte di quel ragazzo che “mentre ero fuori dall’uscita di sicurezza ho notato disteso a terra, a pancia in su e con la testa poggiata a terra e il viso diretto verso l’alto. A quel punto sono rientrato nella discoteca, aggirando il ragazzo disteso a terra e ho notato molta confusione attorno a questo ragazzo, c’erano dei ragazzi e delle ragazze che cercavano di soccorrerlo, nel senso che erano attorno a lui”.

In quel momento Andrea non sa neppure che Aldo sia morto perché, dice, “a quel punto sono uscito e sono tornato a casa. Dopo quella sera al Goa sono rimasto chiuso a casa per dei giorni, perché ero fortemente spaventato dopo avere appreso, la mattina del sabato, della morte del ragazzo tramite il telegiornale. Anzi, la prima notte non sono tornato a casa, ma sono stato a girovagare a piedi e da solo per svagarmi un po’. Mentre ero in giro, dopo qualche ora, ho incontrato Giuseppe Militano che mi ha dato il mio compenso di 50 euro”. Con Militano, figlio del boss dello Zen Carmelo – che per sua stessa ammissione avrebbe gestito una sporta di sicurezza parallela e fuorilegge nel locale – “non ho parlato con di quello che era successo perché avevo paura che non mi chiamasse più a lavorare. Ritengo, infatti, di non essermi comportato in modo non del tutto corretto avendo colpito dei clienti anche se erano loro che mi avevano aggredito”.

Andrea girovaga per tutta la notte. È scosso, poi “sono tornato a casa quando era già giorno. Non so esattamente a che ora. Soltanto oggi pomeriggio ho parlato ai miei genitori di quello che era successo. Non sono andato a stare da nessuno zio, perché volete sapere chi sono i miei zii. Non ho più a casa i vestiti perché li ho buttati. Non voglio dire in quale cassonetto li ho buttati. Penso che una rissa è una cosa brutta adesso mi sento sollevato. O miei genitori mi hanno detto di venire qui anziché fare venire i carabinieri a casa. Penso che Giuseppe l’ha saputo in un secondo tempo che c’era la rissa. Io non gliel’ho detto perché lui non mi avrebbe chiamato più a fare il buttafuori”.

I pm della Procura ordinaria e quelli dei minori incalzano Andrea che inizia a vacillare: “Preciso che l’ho colpito pure difendendomi anche mentre il ragazzo era a terra, lui mi dava calci e mi stava ammazzando una gamba, io mica sono fatto di legno, penso che qualche volta l’ho colpito pure io, lui dava calci peggio di un cavallo”.

Andrea ammette per la prima volta di avere sferrato un calcio ad Aldo Naro. Non è stato lui, però, a colpirlo alla testa. Si alza in piedi e mima il gesto davanti ai pm per spiegare di averlo colpito al corpo. Ed è ora che i carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo si giocano le due carte decisive. Prima gli fanno notare che un testimone ha raccontato di avere visto un buttafuori colpire Aldo con due calci, uno al fianco destro e un altro fra il collo e il volto. Andrea non cede: “Ribadisco che non l’ho colpito al volto, al fianco o forse all’altezza della pancia, ma non al volto o in testa”. Poi, la svolta: al minorenne vengono lette le parole che il padre ha messo a verbale, raccontando di un figlio scosso, rientrato all’alba di quella maledetta notte, dopo avere fatto a botte. Non è vero che Andrea non è rientrato a casa. Non è vero che ne ha parlato con i genitori solo poche ore prima di presentarsi al Malaspina. A questo punto, cambia il registro delle dichiarazioni, che si fanno drammatiche: “Voglio dire tutta la verità. Quella sera, durante la colluttazione all’interno del privè, un ragazzo con la faccia dipinta di bianco e che indossava una camicia scura mi ha dato un pugno violentissimo dietro la testa, sopra l’orecchio destro. A quel punto sono rimasto confuso, quindi l’ho inseguito, mentre un altro ragazzo se lo è tirato per portarlo via, a mentre stavano scendendo i gradini del privè, il ragazzo con la faccia bianca, che mi aveva colpito con un violento pugno, è scivolato”.

Andrea ricorda tutto con precisione: “A quel punto io, preso dai nervi e avendo ormai preso il controllo, mi sono infilato in mezzo alla confusione e gli ho dato un calcio tra il collo e la testa, proprio mentre lui si stava rialzano. I ragazzi che mi hanno aggredito erano quattro e non tre, come ho detto finora. Il quarto ragazzo di cui finora non ho parlato è proprio quello che ho colpito con il calcio dopo che lui è scivolato sugli scalini. Non avevo assolutamente intenzione di mandarlo in ospedale o addirittura di ucciderlo. Lui mi ha fatto male e io volevo solo fargli male, vorrei chiedere scusa alla sua famiglia”.

Per Andrea scatta il fermo, poi convalidato dal Giudice per le indagini preliminari Federico Cimò, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi. La testimonianza dell’amico del minorenne, a cui Andrea avrebbe confessato nell’immediatezza del fatto di avere sferrato il calcio mortale ad Aldo Naro, li racconto di un altro ragazzo che ha detto di avere visto un buttafuori sferrare un calcio alla vittima, le parole del padre e infine la confessione sono tutti elementi che non lasciano dubbi agli investigatori. Che devono, però, continuare ad indagare per un altro mese come imposto dal Gip per chiarire eventuali altre complicità. Nel frattempo la Procura ordinaria raccoglie gli elementi per riempire il secondo fascicolo sulla morte di Aldo Naro e dentro vi è finito il rapporto dei carabinieri. I pm Camilleri, De Flammineis e Marzella si concentrano su due punti: individuare tutti i partecipanti alla rissa che precedette la morte di Aldo e fare chiarezza sulla sicurezza parallela e abusiva che controllava la folle notte del Goa. Un nodo quest’ultimo che parte dal dubbio che i buttafuori in nero fossero autorizzati a stare lì perché imposti da qualcuno. Ecco, se il minorenne davvero vuole proteggere qualcuno è fra gli addetti alla sicurezza che bisogna cercarlo anche se tutti i suoi amici, dopo l’arresto di Andrea, si sono presentati in caserma spontaneamente per raccontare la loro versione dei fatti. Intanto Addipizzo ha deciso di sospendere il titolare della discoteca Marcello Barbaro dall’associazione “in attesa, si legge in un comunicato, che si faccia luce sulle circostanze per le quali sarebbero coinvolti buttafuori irregolari e minorenni”.


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