Un esercito di pace allo Zen

Allo Zen ci vuole un esercito di pace

Una riflessione sulla violenza e sulla speranza

La gente che vive in città ha superato quella che vive in periferia. Il sorpasso è avvenuto nel 2007 ed è stata una crescita piuttosto repentina, se si pensa che nel 1950 solo il 16 per cento degli abitanti del pianeta viveva in città: in poco più di mezzo secolo il mondo è cambiato anche nella distribuzione della popolazione tra centro e periferia.

Abbandono delle campagne ma anche ricerca di opportunità e vita sicura, oltre ai fattori climatici, hanno messo in movimento milioni di persone, consegnandoci la geografia che oggi conosciamo.

Chiaramente la Sicilia è dentro questo processo: migranti che si muovono lungo l’asse Sud-Nord del pianeta attraversano l’isola e una parte (il 3.5 per cento) si stabilizza nelle città siciliane; i giovani, soprattutto quelli più scolarizzati, continuano a migrare in cerca di formazione, lavoro e fortuna, spesso spinti anche da una cultura rassegnata, incapace di immaginare un futuro in Sicilia (abbiamo perso 500.000 abitanti in 10 anni); cresce la dispersione scolastica nei quartieri periferici delle città, dove sono in aumento anche gli episodi di violenza.

L’elenco non è esaustivo, ma è capace di segnare alcune criticità e mutamenti delle città di oggi quindi emerge il bisogno di studiarle di più, di decifrarle e di amarle.

In questo quadro, la prima periferia siciliana che mi viene in mente è lo Zen di Palermo, profondamente segnato dall’omicidio del giovane Paolo Taormina, ma anche dalle tante manifestazioni che il quartiere ha ospitato in questi giorni.

Mi ha colpito vedere migliaia di palermitani manifestare, pregare e riflettere nel corso di questa settimana in strade dove la violenza ha indietreggiato per lasciar posto alle lacrime, ma anche alle parole del Vangelo e alla partecipazione della società civile. (nella foto un momento della serata allo Zen)

Il bravo arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, nella sua confortante omelia tenuta al funerale di Paolo, ha detto: “La violenza non si estirpa con l’esercito”. Gli ha fatto eco nel corso della preghiera di sabato scorso monsignor Gualtiero Isacchi, arcivescovo di Monreale: “Dobbiamo costruire una cultura di pace e fraternità a partire da Palermo, dallo Zen e da tutte le periferie”.

Credo che le parole di consolazione e di speranza ascoltate siano una vera bussola, un modo per ripensare le città così mutate e guardare alla periferia.

Riprendiamoci le città, ma come fare? Dallo Zen emergono segnali di speranza e alcune indicazioni. Colpisce ad esempio la famiglia del giovane Paolo, brutalmente assassinato nel tentativo di bloccare la mano del violento, che ha chiesto pace e non vendetta; colpisce la gente, tanta gente, che ha invaso una periferia definita impraticabile a causa della violenza.

Abbiamo visto lo Stato presente e la Chiesa, a partire dai Vescovi (il parroco della chiesa di San Filippo Neri ha ricordato che mai due vescovi erano stati insieme allo Zen) che rivendica presenza e voglia di cambiare la storia dei giovani. Era presente anche la famiglia di Sara Campanella – giovane universitaria uccisa da uno stalker a Messina pochi mesi addietro – che pregava e chiedeva pace.

Dallo Zen, dalla periferia, si alzano sentimenti che danno speranza alle nostre città così mutate, che non chiedono eserciti o risposte semplificate, ma educazione alla pace e ascolto, ovvero un nuovo processo. In città non dobbiamo cercare il nemico, ma il fratello e la sorella da strappare alla cultura della violenza.

In un mondo e in città così mutate servono esempi da seguire. Certamente Palermo ne ha diversi come Padre Puglisi o Biagio Conte, ma presento anche la testimonianza di Floribert Bwana Chui, congolese, impegnato con Sant’Egidio a Goma, morto martire e da poco beatificato a Roma.

Giovane di 26 anni, cristiano, amico dei bambini di periferia. La sua morte è avvenuta perché si rifiutò di permettere il passaggio di carichi di cibo avariato alla frontiera, salvaguardando così la salute delle persone e opponendosi alla corruzione.

Dobbiamo essere incorruttibili rispetto a certi valori, come Floribert. Dobbiamo ricordarlo a tutti, lanciando un nuovo patto con la società a partire dalle istituzioni: lotta alla corruzione, al crack, alla solitudine dei bisognosi, al degrado urbano, alla diffusione delle armi, all’emergenza abitativa e alla vendetta sono il nostro programma.

Matite colorate, scuole della pace, preghiere e assemblee sono le nostre armi. Questo è l’esercito di pace che ho visto muoversi allo Zen, questo può essere il nostro futuro.


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