Almaviva, lieto fine al fotofinish | Sollievo per 3.230 lavoratori - Live Sicilia

Almaviva, lieto fine al fotofinish | Sollievo per 3.230 lavoratori

Tre mesi di battaglie, tavoli e cortei. La storia della vertenza nel colosso dei call center.

Palermo - la vertenza
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PALERMO – Rispondono ai numeri verdi delle centinaia di aziende che offrono un servizio telefonico, risolvendo in voice i problemi, dando assistenza immediata senza dover ricorrere a fax o raccomandate. In un turno di quattro ore riescono a prendere anche 80 telefonate. Sono i “telefonisti” del call center a gestire in outsourcing ogni bega quotidiana, cercando di trovare soluzioni ai più disparati problemi. E la più grande realtà italiana nei call center è senza dubbio Almaviva Contact, con 8 mila dipendenti a tempo indeterminato su tutto lo stivale, con un’anzianità aziendale media intorno ai 10 anni. Un vero e proprio popolo che, solo a Palermo, coinvolge 3.230 persone.

Dal 2012 l’azienda denuncia, però, a tutti i livelli istituzionali, locali e nazionali, distorsioni del mercato che hanno portato a un grave squilibrio tra la concorrenza, e alla presenza di esuberi gestiti via via negli anni grazie al ricorso agli ammortizzatori sociali, come i contratti di solidarietà. Persino da un’indagine conoscitiva sui call center, fatta dalla Commissione Lavoro della Camera nel dicembre del 2014, emergono tutti i problemi del settore rilevati negli anni dalla società leader nei call center. “L’alta incidenza delle spese di personale, unitamente alla costante decrescita dei prezzi, implica che la concorrenza tra operatori si svolga, in misura preponderante, sul costo del lavoro, generando fenomeni di dumping sociale che conducono, sempre più spesso, al trasferimento delle attività all’estero” si legge.

Una crisi reale, vera, quella che ha portato lo scorso 21 marzo all’annuncio dell’apertura di una procedura di riduzione del personale, nel quadro di un complessivo piano di riorganizzazione aziendale. 2.988 esuberi il dato, 1.670 soltanto a Palermo, gli altri tra Roma e Napoli, 918 e 400. Numeri senza precedenti che hanno spinto i media a paragonare questa vertenza a quella della Fiat. A scatenare la crisi, però, diversi fattori: dalla progressiva riduzione dei volumi di attività in Italia, alla delocalizzazione senza controlli verso Paesi al di fuori dell’Unione Europea, fino alla riduzione delle tariffe, alla proliferazione delle gare al massimo ribasso e all’incremento del costo del lavoro che da solo rappresenta circa l’80 per cento dei costi operativi complessivi delle aziende del settore.

Il ricorso a strumenti come la solidarietà difensiva, così, non è stato più sufficiente a gestire gli esuberi. Una crisi strutturale che, solo nell’ultimo biennio, ha provocato circa 16 milioni di euro di perdite per l’Almaviva Contact. Da lì la necessità alla riduzione del personale, con 2.988 operatori per tre sedi, Palermo, Roma e Napoli. Un piano che ha coinvolto il 6 per cento del personale in forza al gruppo a livello globale, che conta 50 mila persone in sette Paesi. Il 21 marzo è stata così la data che ha dato l’avvio a tutto. Una corsa contro il tempo, per settantacinque giorni, in cui l’azienda si è confrontata con organizzazioni sindacali e, infine col Governo, fino all’accordo di oggi.

Il primo incontro con i sindacati è avvenuto lo scorso 1 aprile. In quella circostanza l’AlmavivA Contact ha ribadito l’assenza delle condizioni necessarie ad interrompere la procedura, nonostante la disponibilità al confronto. Appena due settimane dopo, il dibattito si è spostato al Ministero dello Sviluppo Economico. È lì che si prospetta la proposta da parte del Governo ai 6 mesi solidarietà. Una proposta che, già il 13 aprile, ha mostrato la disponibilità della società ad accogliere l’appello del viceministro Teresa Bellanova, sospendendo la procedura in corso, a condizione che si fossero trovati gli strumenti necessari a non mettere ulteriormente a rischio l’equilibrio aziendale.

I sindacati, però, hanno messo un freno al confronto fortemente sollecitato dal governo. Il 18 aprile nella sede romana di Unindustria, la società di Marco Tripi, amministrata da Andrea Antonelli ha fatto un secondo incontro con i sindacati che si è rivelato un flop. La richiesta di ricorrere ad ammortizzatori sociali, avanzata dalle organizzazioni sindacali, sarebbe stata accolta solo in un contesto capace di garantire la sostenibilità aziendale nei siti produttivi interessati dagli esuberi. Il 20 aprile, così, il confronto è continuato al Mise, per la seconda volta. È lì che il Governo ha dato le linee guida per un accordo. E solo il 26 dello stesso mese, su richiesta sindacale, l’azienda lo ha formulato: un nuovo contratto di solidarietà, fino a novembre, per dar tempo alle istituzioni di realizzare gli annunciati interventi strutturali del settore.

Un plebiscito di lavoratori, però, ha detto “no”. Dopo un referendum indetto per il 5 maggio, il 95 per cento degli operatori, tra via Marcellini e via Cordova, ma anche nelle altre sedi, ha bocciato la possibilità di ricorrere alla solidarietà per altri 6 mesi. Sono iniziate, così, settimane di scioperi a livello nazionale, sit-in dinanzi le sedi, manifestazioni e fiaccolate notturne, che hanno mostrato sempre la tenacia del popolo di Almaviva. Al terzo tavolo al Mise, il 26 maggio, il primo della nuova fase della procedura, l’azienda ha tirato dritto, ribadendo le perdite, attestate a un milione e mezzo di euro, e sottolineando che ogni futuro ed eventuale accordo sarebbe dovuto ripartire dal documento di procedura stilato dal Governo nei precedenti incontri.

Ad appena 5 giorni dall’avvio delle lettere di licenziamento, però, l’accordo tanto atteso. Il 31 maggio, così, segna uno spartiacque nella vertenza Almaviva. Dopo una 24 ore trascorsa al civico 2 di via Molise, nella capitale, vertici istituzionali e aziendali mettono la parola fine, almeno momentaneamente, al destino del popolo dei call center, dopo tre mesi di battaglie in piazza per difendere il proprio diritto al lavoro. Ancora 6 mesi di solidarietà, poi 12 mesi di cassa integrazione, più altri 12 eventuali di ammortizzatori presi dal Fondo Residuale. Da 18 a 30 mesi in più per apportare riforme serie al settore e scongiurare di parecchio gli esuberi. Da 3.000 a rischio, si potrebbe passare a soli 1.100, nel giro di un anno. Una vittoria a metà per i dipendenti che, se da una parte sospirano, dall’altra credono che i licenziamenti siano stati soltanto rinviati.

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