"... mi hanno consumato" | Incidente? No, fu omicidio - Live Sicilia

“… mi hanno consumato” | Incidente? No, fu omicidio

L'incidente, falso, in cui morì il 22enne tunisino Hadri Yakoub (Foto d'archivio)

Svelata la verità sulla morte di un tunisino a Brancaccio. Il piano della banda dei finti incidenti.

Palermo - il blitz
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3 min di lettura

PALERMO – Di sicuro non fu incidente stradale. Yakoub Hadri, tunisino di 23 anni, sposato e padre di un bambino, nel gennaio 2017 fu ritrovato morto in via Salemi, a Brancaccio. Aveva tibia e perone fratturati. Era stato apparentemente travolto da una macchina mentre era in sella ad una bicicletta elettrica. Gli investigatori della Squadra mobile hanno raccolto una serie di indizi che, come sancito dalla Cassazione, rappresentano una “convergenza del molteplice”. Da qui l’accusa di omicidio preterintenzionale contestata a Francesco Faija e Francesco La Monica, entrambi coinvolti nel blitz di ieri. Il secondo è ancora irreperibile.

La dinamica non convinse da subito. La posizione del cadavere, la perizia sui mezzi, le testimonianze: tutto era incompatibile con un sinistro stradale. Gli investigatori ritengono che il tunisino attratto dal miraggio di facili guadagni (mediante un risarcimento che, peraltro, giammai avrebbe ottenuto), fu vittima della cruda e spietata violenza degli indagati”. L’incidente di Hadri sarebbe uno dei tanti finti sinistri stradali scoperti nell’inchiesta.

L’intuizione degli investigatori ha trovato conferme negli ultimi mesi. Quando la compagna della vittima fu convocata al Policlinico per riconoscere la salma fu avvicinata da due persone di nome Francesco. Le proposero di occuparsi della pratica per il risarcimento in cambio del 50 per cento dell’indennizzo. Francesco La Monica è stato identificato perché faceva il garzone in un bar a Bagheria, mentre Faija si è attirato da solo le attenzioni dei poliziotti. Era stato convocato, come tanti altri, negli uffici della Mobile. Qui trovò Umberto Impiombato, l’uomo alla guida della macchina che avrebbe travolto il tunisino. Nei giorni precedenti alla convocazione c’erano stati ripetuti contatti telefonici fra i due. “Ho capito tutto, strano tu qua ed io pure qua”, disse subito Faija. Che replicava: “… mi hanno consumato… ancora combatto… chi me lo ha fatto fare… quanto mi è costato questo danno a me… potevo stare coricato a casa…”.

Una volta rese le sommarie informazioni Faija faceva rientro in sala d’attesa e pronunciava la frase: “Tutte cose sanno… tutte cose sanno”. Quindi chiedeva informazioni su una pratica assicurativa: “… nel tuo foglio non lo vedi se… se tu vai nella tua agenzia lo vedi se quello… informati, assicurati, che dopo ci atterriamo… perché io non so niente”.

Ancora più esplicite le successive frasi registrate a bordo della macchina con cui Faija si allontanò dalla Squadra mobile in compagnia della madre: “… ma lo hanno capito ma…che li ho presi per il culo ma… per questo ti dico… fu quel giorno… lo hanno capito… perché in certe parole mi sono confuso… ma… nei guai sono… nei guai sono… minchia danno… non hanno creduto che non ho telefono, che non ho niente, non hanno creduto a niente ma… non hanno creduto una minima virgola…non ci hanno creduto io già lo so… hanno le prove ma…mi hanno fatto vedere la fotografia hanno le prove ma”.

Nel corso della testimonianza, infatti, gli erano stati mostrati gli scatti dell’incidente del tunisino. La madre cercò di tranquillizzarlo, consegnando alle microspie quella che viene considerata una indiretta confessione: “… che prove hanno che tu hai ammazzato a quello? Francesco com’è che sei…si è svolta questa cosa… boh…”.

 


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