CALTANISSETTA – “Dobbiamo tutti impegnarci a eliminare la zavorra fatta di chiacchiere inutili, di promesse non mantenute, di mafiosità camuffata di legalità”. Sono parole dure, pronunciate dal vescovo di Caltanissetta, monsignor Mario Russotto, nel corso dell’omelia più importante dell’anno. Quella recitata durante la messa in onore del patrono San Michele Arcangelo. Ed ancora: “Basta, dunque, con gli inganni dei manovratori e di coloro che per fare carriera sbandierano i principi di legalità. Offriamo a san Michele Arcangelo la lealtà che ciascuno di noi deve manifestare con se stesso e con gli altri per gli impegni che ha assunto. Mettiamo tutti questi valori nella bilancia di San Michele e facciamo sì che siano prevalenti sui comportamenti negativi”.
Ce n’è abbastanza per stimolare la riflessione. Per azzardare – fiduciosi, qualora servisse, nel perdono divino – una interpretazione: da una parte c’è la mafia e dall’altro lo Stato. In mezzo c’è l’antimafia. Quella vera, quella parolaia e quella di chi grazie alla mafia e, peggio ancora, andando a braccetto con essa, ha fatto carriera.
Terra strana la Sicilia. Terra di contrasti. A ricordarcelo è Domenico Gozzo, procuratore aggiunto di Caltanissetta, per il quale l’intervento del vescovo Russotto si cuce addosso al momento che l’isola sta attraversando. Momento elettorale: “La Sicilia è la Regione in cui qualcuno, imputato per reati con aggravante mafiosa, ebbe a dire che “la mafia fa schifo” – spiega Gozzo -. Quindi il pericolo di un’antimafia di facciata c’è sempre. Specie quando si formano le liste e la tentazione di inserire chi porta voti (anche di incerta provenienza) più di chi sia onesto è grande”. Guai però, una volta smascherati traffichini e fasulli antimafiosi, considerare la lotta alla mafia, quella vera, una faccenda che riguarda gli altri e mai noi stessi: “Questo pericolo, però, non deve fare diventare questa lotta appannaggio di una élite minoritaria. La lotta alla mafia deve essere lotta di tutti, senza che nessuno possa attribuirla alla propria parte politica o sociale”.
Insomma, nessuno si appropri della targhetta dell’antimafia come una stelletta, magari per orientare il consenso. A proposito di orientamento, secondo Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia e pioniere della battaglia per la legalità fra gli industriali isolani, poi esporatata oltre lo Stretto, “ormai il confine tra mafia e antimafia è bianco. Dobbiamo smascherare ogni forma di finta legalità, questo è un problema serio”. L’appello del vescovo Russotto, che in passato ha rilanciato il valore della legalità declinandolo in lavoro, libertà e lealtà, trova terreno fertile nelle idee di Montante: “Monsignor Russotto è un modello nel modello Caltanissetta (il riferimento è al lavoro congiunto di magistrati, associazionismo e Chiesa ndr). Anche se – aggiunge Montante – questo non vuol dire che tutto va bene. Anzi, qui la legalità è il tentativo di ripristinare la normalità”. Il presidente degli industriali si serve di un esempio per spiegare cos’è, a suo parere, l’antimafia oggi: “È come nel passato, si diceva la mafia non esiste. Ecco, oggi, si dice io faccio l’antimafia. E mi riferisco a politici, imprenditori, creatori di carrozzoni illegali o false associazioni. Con il vescovo ci siamo sentiti poco fa. Portiamo avanti progetti comuni e denunciamo la finta legalità. Diciamo le stesse cose con un linguaggio diverso. Bisogna difendere il modello Caltanissetta, quello vero, dotarlo di anticorpi, affinché tutto questo non diventi il paradosso di se stesso”.
Le parole di Russotto risuonano ancora nei palazzi della politica nissena. In quello comunale ad esempio, travolto due anni fa da un’inchiesta giudiziaria. E così se chiedi al sindaco Michele Campisi a chi potesse fare riferimento il vescovo con le parole “mafiosità camuffata di legalità”, il primo cittadino non ha dubbi: “In città, c’è chi con l’antimafia e le bandierine sventolate si è arricchito, si sono fatti i soldi. Più volte ho denunciato i sistemi di malaffare di questa città. Quindi il vescovo fa benissimo ad alzare la voce, con accuse pesanti proprio come faceva Sciascia. Però durante l’omelia il Comune, che io rappresento e amministro, non è stato menzionato una sola volta, anzi posso dirvi con franchezza che non ci sono infiltrazioni mafiose. Già l’anno scorso la Commissione antimafia, da me interpellata, ha fatto luce su delicate questioni che risalgono al 2004 e non alla mia giunta”. Il riferimento è all’operazione “Redde rationem”, letteralmente la “resa dei conti” che accertò i presunti rapporti perversi tra politica, imprenditoria e mafia nella provincia nissena. L’indagine coinvolse il vice sindaco di allora e il parente di un assessore. Conseguenza fu l’azzeramento della giunta voluto da Campisi, il quale, oggi, difende la sua scelta di affidarsi ai tecnici. Ma chi si è arricchito con l’antimafia di facciata? “Tutti, industriali, imprenditori e politici. E forse è proprio ai politici e agli imprenditori che il monsignore si riferiva. Posso assicurarvi che al comune di Caltanissetta tutte le persone e i funzionari lavorano per il giusto e il malaffare difficilmente entra. Io parlerei semmai di pratiche clientelari e non di mafia”.