CATANIA – Resta l’amaro in bocca appena si finisce di leggere la reazione della Commissione Antimafia all’Ars sulla condizione minorile in Sicilia. Perché in alcune realtà il tempo è rimasto invariato, immobile. I minori abbandonati nei quartieri ghetto dove avere parco, un oratorio, un teatro sembra quasi un privilegio. Quando invece dovrebbe essere ‘normalità’. Partendo da Brancaccio a Palermo fino a Librino a Catania, passando per Giostra a Messina: “Uno spaccato reale della vita e della solitudine dei ragazzi che vivono nelle periferie delle grandi città siciliane”.
Un viaggio che mostra come nel vuoto delle Istituzioni si inseriscano le scuole, le associazioni, i volontari, le squadre sportive. Insomma ‘il terzo settore’. Ma i ‘supplenti’ non possono fare i miracoli. Sono sessantacinque le persone audite dalla Commissione Antimafia regionale presieduta da Claudio Fava. Il primo dato che emerge è quello di una dispersione scolastica a due cifre, quasi il 20%. Ma si tratta di una media regionale, perché ci sono luoghi dove questa percentuale è largamente superata. E i quartieri di Catania – purtroppo – sono tra questi ‘luoghi’.
Un capitolo della relazione è dedicato proprio alle periferie catanesi: Librino, San Giorgio, Zia Lisa, San Cristoforo. Anche se quest’ultimo si trova proprio a due passi dal centro storico. “Gli indici di dispersione scolastica riferiti dai Tribunali per i minori restano tra i più alti d’Europa, con un picco drammatico nel passaggio tra la scuola media e le superiori. E con un vulnus ulteriore: dove non arriva l’offerta formativa ed educativa dello Stato spesso arriva la criminalità organizzata, con un sistema di seduzioni, valori e reclutamenti che segna per sempre il destino di questi minori”, si legge nella relazione. Come dice il presidente del Tribunale dei Minorenni Roberto Di Bella la lotta però all’evasione scolastica diventa difficile davanti a un groviglio normativo ormai obsoleto. “C’è un vecchio decreto legislativo – prevede che la scuola segnali ai servizi sociali. I servizi sociali contattano la famiglia: si prova ad esperire un tentativo di avvicinamento alle istituzioni e, se questo fallisce, la segnalazione deve essere fatta al sindaco che può contattare l’autorità giudiziaria. È una procedura molto farraginosa”, dice. A questo si aggiunge la mancanza di assistenti sociali. Anche se a Catania ha assicurato l’assessore comunale Giuseppe Lombardo stanno per entrare altre 50 figure.
Le varie testimonianze raccolte hanno dimostrato che “la dispersione scolastica è determinata – nella maggior parte dei casi – dall’insistere di diversi fattori che spaziano dal background socio-culturale-economico del contesto familiare, ambientale e storico di riferimento al funzionamento della struttura scolastica, fino ad interessare aspetti individuali del minore”. Oltre agli sforzi politici per arginare il fenomeno (rassegnati alla Commissione dall’assessore Roberto Lagalla) alcuni si attrezzano attraverso sinergie interistituzionali. Di Bella sta cercando di portare a Catania l’esperienza del progetto Liberi di Scegliere di Reggio Calabria che si basa sulla possibilità di allontanare il minore che vive in uno stato di disagio e devianza allo scopo di dargli un’alternativa.
Lo scenario illustrato dal Presidente del Tribunale dei minori etneo è inquietante: “Qui i ragazzi non vanno a scuola, compiono innumerevoli reati, soprattutto quelli legati allo spaccio di stupefacenti, sotto il controllo delle organizzazioni criminali. Hanno come mito personaggi storici, come Nitto Santapaola… spessissimo ho sentito dire a dei ragazzi che noi incontriamo che quelle sono persone che hanno fatto del bene alla città…” Eppure davanti a una fotografia del genere da Catania non arriva alcuna segnalazione al Garante regionale per l’Infanzia e l’adolescenza. Problemi di comunicazione, burocrazie inutili che vanno a incidere in un immobilismo ormai atavico.
E di questo ne approfitta la criminalità organizzata, che assolda nei suoi eserciti dello spaccio – per lo più – adolescenti a pochi euro. “Nonostante gli sforzi, spesso affidati alla volontà dei singoli, Librino resta una ferità aperta. Una città nella città. Anzi: una città ai margini della città”, scrive la Commissione. Plessi scolastici abbandonati mai completate, il teatro Moncada più volte ristrutturato e poi lasciato alla mano dei vandali, i centri di spaccio che diventano case popolari. Cemento su cemento. Ma il cambiamento deve partire dalla scuola.
Dalle audizioni parte una proposta: “Una più ampia offerta scolastica, allargata anche agli istituti superiori, sarebbe un antidoto contro la spirale di marginalità e isolamento nella quale sono costretti centinaia di ragazzi socialmente vulnerabili”. La scuola a Librino è riuscita a creare una rete, cosa che però non è accaduta a San Cristoforo. “Non lo so, a Librino siamo riusciti a superare secondo me questo problema perché le famiglie sono più disponibili, ci vedono come accanto ai ragazzi, accanto alle famiglie. In Via Plaia, non lo so, c’è forse un concetto più radicato, più atavico, cioè è difficile da sradicare”, ha raccontato la Dirigente Costanzo della Dusmet-Doria.
E forse non è un caso che questo è uno dei quartieri dove si sono formati i clan di Cosa nostra. “L’incombenza mafiosa resiste con le sue regole, anche di fronte ad una realtà in crescente evoluzione, continuando ad esercitare – come detto – una perversa attrazione sulle enclaves più fragili”, si legge nella relazione. E non bisogna sottovalutare “il tema della fascinazione di Cosa Nostra. Il mancato inserimento in un’organizzazione criminale di tipo mafioso e la privazione di ogni punto di riferimento – se non quello familiare, che però li sfrutta – induce picciotti e carusi a mitizzare i mafiosi, considerati “veri uomini”: tanto, per la ricerca di un’identità, quantunque criminale”, avverte la Commissione.
Ma qualcosa a Catania pare muoversi. Le parole di Stefania Marinao dell’Anticrimine della Questura Etnea accendono una luce: “Stiamo dando ausilio ai servizi sociali in molti allontanamenti di ragazzi da famiglie mafiose, l’abbiamo fatto anche con riferimento ad importanti famiglie. Tra l’altro mi sono stupita a vedere le madri di questi ragazzi particolarmente collaborative. Forse vedendo i mariti in carcere, per quanto poi le mafie abbiano poi un sistema sociale che li sorregge, si sono dimostrate collaborative proprio per evitare che i figli possano fare la stessa fine dei padri. Questo già è un bel segnale di speranza”.