Elezioni europee, è scattata la corsa al simbolo antimafia

Elezioni europee, in Sicilia è scattata la corsa al simbolo antimafia

Il 'caso Chinnici' e altre vicende

Nel precedente articolo sulla candidatura dell’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando alle imminenti elezioni europee abbiamo promesso una riflessione a parte sulla composizione delle liste. Sono cominciate, lo sappiamo, le grandi manovre, specialmente a opera delle formazioni politiche più piccole, circa l’elaborazione di liste unitarie tra partiti per tentare di superare lo sbarramento del 4% e così accedere al Parlamento europeo.

In questi casi, si sa, in un’epoca in cui le identità riconoscibili sono pressoché introvabili e, invece, imperversano soggetti personali con tanto di nomi dei fondatori o leader stampati sul simbolo non si va tanto per il sottile, si bada piuttosto a “fare cassa”, cioè a “incassare” voti a destra e a manca con buona pace di chi è alla ricerca di idee, programmi, identità, appunto, riconoscibili.

Elezioni e sopravvivenza politica

Non meravigliamoci, poi, dell’enorme fetta di elettorato che preferisce astenersi senza rimpianti. Il chiasso maggiore, ovviamente, lo fanno determinati personaggi oggettivamente privi di un definitivo riferimento ideologico, pronti a imbastire abiti arlecchineschi, confusamente colorati, pur di farsi eleggere e sopravvivere, da Matteo Renzi a Carlo Calenda, Da Emma Bonino a Lorenzo Cesa, da Cateno De Luca a Totò Cuffaro e altri.

Nondimeno, riescono pure a litigare cercando di conquistare una patente di credibilità e, addirittura, di eticità attraverso inclusioni ed esclusioni, vedi le polemiche sulla DC di Cuffaro, c’è che la vuole dentro e chi fuori, chi la rifiuta e chi la corteggia. In realtà, leggendo le cronache politiche la questione morale (espressione antica ma sempre attuale) riguarda tutti i partiti, dal PD a Fratelli d’Italia passando per la Lega.

La corsa ai simboli dell’antimafia

Comunque, nella frenesia di sommare consensi registriamo, specialmente a sinistra, adesso non solo a sinistra, un fenomeno non nuovo: la corsa ai cosiddetti simboli dell’antimafia, diretti protagonisti o parenti di vittime della violenza omicida di Cosa Nostra. Un espediente per rastrellare voti e “consacrare” la vocazione anti mafiosa del proprio partito – anche quando storia, fatti e cognomi dicono il contrario – che personalmente ho sempre aborrito per le seguenti ragioni.

La prima. Mi piace di più quella che chiamo l’antimafia diffusa, delle persone comuni che quotidianamente combattono la mafia facendo semplicemente il proprio dovere, in ufficio, a scuola, in parrocchia, in ospedale, in fabbrica, nel volontariato, insomma lì dove si svolge la faticosa attività di ogni onesto lavoratore, onesta lavoratrice, di ogni persona perbene.

Sappiamo per esperienza drammatica, infatti, come la mafia tema testimonianze forti, seppure senza telecamere al seguito, come quelle, ne cito due, di Libero Grassi o di padre Pino Puglisi.

Il ‘caso Chinnici’

La seconda. Abbiamo scoperto falsi maestri e falsi profeti della battaglia contro la criminalità organizzata e, in aggiunta, abbiamo constatato che la dolorosa condizione di familiare di un martire di mafia non implica automaticamente il possesso di attitudini e capacità politiche di rilevante pregio, anzi, non di rado si è verificato esattamente l’opposto. Inoltre, davvero lacrimevoli certe migrazioni di congiunti di vittime di mafia nello scacchiere politico, utili unicamente ad assicurarsi posizioni garantite.

Non ho problemi a confessare il mio disorientamento, ad esempio, sulla scelta di Caterina Chinnici di saltare il fosso verso Forza Italia dove non si brilla particolarmente sul fronte dell’antimafia, non lo diciamo noi, lo dicono centinaia di pagine processuali e sentenze definitive riguardanti esponenti forzisti. Analoga annotazione potrebbe valere per Rita Dalla Chiesa, oggi disinvoltamente deputata di FI.

In conclusione, recarsi alle urne è sempre meglio di restare a casa, sono morti in troppi nel passato perché avessimo tale diritto scippatoci dal criminale regime fascista, però è parimenti vero che occorre guardare alla qualità del singolo candidato, al suo curriculum, visto che i partiti in campo, purtroppo, si assomigliano parecchio nella loro nebulosità progettuale e ambiguità politica.


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