PALERMO – “La loro morte ci lascia nello sconforto, nel vuoto più assoluto, ma non si è trattato di incoscienza”. A dirlo è chi si è immerso tante volte con Giuseppe Migliore e Antonio Aloisio, che sa quanta esperienza i due sub avessero alle spalle. “Molti anni fa, quando cominciai a fare immersioni, il popolo dei subacquei era ancora costituito da un numero esiguo di appassionati. Ancora non esistevano i diving e la didattica era esclusiva della Fips. Io e altri quattro giovani subacquei decidemmo di fondare un’associazione che divulgasse le bellezze del mondo sottomarino”.
Sono le parole di Francesco Genchi, titolare del noto negozio di articoli sportivi e subacquei nel centro a Palermo. Era uno dei migliore amici di Giuseppe Migliore e Antonio Aloisio, i due sub morti in mare cinque giorni fa ad Isola delle Femmine e con loro aveva affrontato varie missioni. “Ci ispiravamo alle parole del grande Duilio Marcante – dice – che definiva i subacquei appartenenti alla “tribù delle rocce, una tribù di uomini scuri di pelle ma dall’animo semplice”. Eravamo giovani ma sin da subito la nostra associazione crebbe di numero di appassionati costituendo un incredibile campionario di umanità in cui si mescolavano ingegneri, dottori e avvocati con operai, impiegati e giovani studenti tutti uniti dal grande amore per il mare e dall’entusiasmo per l’esplorazione sottomarina”.
“Questo spirito ci ha sempre accompagnato. In questi lunghi anni di attività – prosegue Genchi – abbiamo perso molti amici che hanno trovato in fondo al mare il loro destino, abbiamo pianto e ancora li ricordiamo nei nostri incontri ma sapevamo e sappiamo che il rischio e l’incidente sono sempre dietro la porta e che l’esempio dei nostri amici caduti in mare ci spinge a sempre nuove regole per la sicurezza in immersione. Adesso la subacquea è affidata per il 90 per cento ai diving che portano in mare migliaia di sub in piena sicurezza, con istruttori validi e guide professionali, coperti da assicurazioni contro eventuali incidenti. Rimane ancora quel dieci per cento legato alla vecchia maniera di fare immersioni, gente del “popolo delle rocce” schivo e solitario, che non frequenta i social ma continua a immergersi per cercare, scoprire e conoscere sempre luoghi nuovi del sesto continente e a volte lasciandoci anche la vita ben sapendo che se c’è un posto nel quale volere morire è proprio lì in fondo al mare. Antonio e Giuseppe erano due bravi subacquei che appartenevano a quel dieci per cento di vecchi sub, erano i miei compagni di immersioni e condividevamo lo studio, la ricerca e le immersioni con lo spirito di chi affronta il mare e i suoi rischi per scoprire le meraviglie dei suoi fondali. Alla notizia della loro scomparsa ho letto centinaia di commenti sui social: chi dava lezioni di subacquea, chi si inorridiva, chi piangeva e chi condannava. Tutto ciò non appartiene alla “tribù delle rocce” di Giuseppe e di Antonio – conclude – che in questo momento, ne sono sicuro, saranno insieme in altri mari a fare splendide immersioni”.
Per accertare cosa sia accaduto bisognerà ancora attendere gli esami istologici e tossicologici, ma in base ai primi esami, Migliore sarebbe morto per annegamento, Aloisio per una embolia gassosa, dovuta probabilmente alla risalita veloce. “Erano legatissimi – aggiunge un altro amico – non si può escludere che Antonio abbia tentato di salvare Giuseppe, che potrebbe essere finito a quella profondità per un malore, e ciò spiegherebbe perché le sue bombole erano ancora piene. Nessuno deve giudicare, né parlare di incoscienza o imprudenza: erano due sub esperti, sapevano che dovevano immergersi in sicurezza e che non potevano raggiungere quella profondità senza trimix. Padri di famiglia che amavano il mare e che mai avrebbero messo a repentaglio la propria vita. Giuseppe – aggiunge l’amico – diceva sempre che Antonio doveva immergersi con lui, perché l’avrebbe sempre aiutato in caso di difficoltà, avendo qualche anno in più di esperienza. Forse è successo il contrario, ma di certo non avevano intenzione di spingersi oltre le loro possibilità e l’uno avrebbe dato la vita per l’altro. A noi resta un dolore immenso, con la speranza che le indagini riescano a ricostruire cosa è accaduto in quei terribili venti minuti”.