CATANIA- Uno spettacolo bellissimo. Questo il primo commento a caldo da parte di coloro che hanno assistito alla Madama Butterfly, tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratto dall’omonimo dramma di David Belasco, musica di Giacomo Puccini, in scena al Teatro Massimo Bellini nella stagione “Lirica e balletti”.
La fabula che sta dietro questa romantica, profonda e quanto mai terribile storia è quella della donna sedotta, che lascia tutto il suo passato, i suoi Dei, i suoi parenti offrendosi per intero al proprio amore (“Io seguo il mio destino e piena umiltà al Dio del signor Pinkerton m’inchino. E per farvi contento potrò forse obliar la gente mia. Amore mio!”), ricevendone in cambio un veloce matrimonio, promesse di ritorno (“O Butterfly, piccina mogliettina, tornerò colle rose alla stagione serena quando fa nidiata il pettirosso”, l’abbandono e … un figlio. A dare colore al dramma anzitutto c’è l’ambientazione, una romantica Nagasaki di fine ‘800, ricca di vita e di verde, col profumo di fiori di ciliegio che si espande come una nebbia nelle piccole vie e ariose case, fatte di legno con le porte in carta di riso, dipinte e con la natura intrappolata nelle pareti….
La “lei” è una geisha quindicenne, di nome Cio Cio San, “Butterfly” in inglese, “Madama Farfalla” in italiano. In scena ad interpretare il ruolo dell’innamorata protagonista è l’abilissimo soprano Donata D’Annunzio Lombardi: premio “Danzuso” nel 2010, Albo d’Oro Giacomo Puccini nel 2011, blasonata voce nelle opere pucciniane (Musetta, Liù, Mimì, Magda, Butterfly), ha ottimamente rivestito la figura della giapponesina ricevendo copiose congratulazioni fra gli altri nella famosa romanza “Un bel dì vedremo”.
Il “lui” è, neanche a dirlo, un marinaio, Benjamin Franklin Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti, interpretato in scena dal tenore Giorgio Casciarri, che ha sostituito il titolare Rubens Pelizzari, indisposto), bravo ma senza eccessi nel difficile ruolo di coprotagonista/antagonista.
Il podio è stato occupato dall’abile bacchetta di Fabrizio Maria Carminati, che è egregiamente riuscito a raffigurare la partitura pucciniana coi suoi elementi orientali. Nel ruolo della fedele Suzuki il capace mezzosoprano Antonella Colaianni; il baritono Carmelo Corrado Caruso è Sharpless; Antonella Fioretti, mezzosoprano, è Kate Pinkerton; Zio Bonzo, basso, Concetto Rametta; Goro, tenore, Stefano Osbat; Daniele Bartolini è Il principe Yamadori/Il commissario imperiale; Massimiliano Bruno è l’Ufficiale del registro; Antonella Guida, la madre; Aurora Bernava, cugina.
Maestro del coro Tiziana Carlini, applaudita insieme agli esecutori fra gli altri per il magnifico “Coro a bocca chiusa” che conclude il secondo atto; Orchestra, coro e tecnici del Teatro Massimo Bellini di Catania. L’allestimento è stato realizzato in coproduzione con il Teatro di Malibor (Slovenia); Roberto Laganà Manoli sigla in calce regia, scene, costumi e luci, bellissime come si conviene in un’opera di caratura come la Butterfly, il quale collega gli “accenti orientali” della musica e dell’ambientazione con le pareti della casa giapponese, dipinte in foglie e rugiada, verde maturo le prime, oro rosso lo sfondo, il tutto arricchito dalle tipiche piante del giardino Zen, come l’Acero palmato atropurpureo, dalla chioma rosso fuoco, presente in scena anche in forma di gigante bonsai.
A sostenere l’intera storia c’è il fil rouge dell’amore di Cio Cio San verso il suo ideale marito/marinaio americano, e la speranza nel suo ritorno, la cui sicurezza viene rotta dalle parole di Sharpless il quale instilla il dubbio fatale “Ebbene che fareste Madama Butterfly, s’eri non dovesse ritornar più mai?”. A questo punto tutto si blocca, la scena si tinge di rosso a rispecchiare l’animo della protagonista che si scopre tradita, il filo rosso si spezza, il legame si rompe e tutto precipita.
Non resta, alla tradita, che indossare l’abito bianco del matrimonio, allontanare il figlio in attesa che il padre lo porti con se in America, ritornare nella religione dei suoi avi, impugnare il “tantō”, pugnale simbolo della casta dei guerrieri donatole dal padre, inginocchiarsi e praticare il Jigai, il suicidio rituale delle donne giapponesi mediante il taglio alla vena giugulare.
Scroscianti gli applausi, prolungati e sentiti, da parte di un pubblico commosso per la tragedia appena consumata, arricchito dalla splendida soirée di arte, musica e poesia.