L'appuntamento con la morte - Live Sicilia

L’appuntamento con la morte

Due uomini scomparsi. Due cadaveri mai trovati. Tracce di sangue sulle mattonelle di un agriturismo di Aci Sant'Antonio. Alla sbarra Rosario Grasso: il pm ha chiesto la condanna all'ergastolo.

 

doppia lupara bianca
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CATANIA – Giuseppe Spampinato e Francesco Grasso sarebbero stati convocati all’agriturismo di Aci Sant’Antonio per un appuntamento con la morte. Questo il cuore della requisitoria del pubblico ministero Pasquale Pacifico nel processo contro Rosario Grasso, titolare dell’Akis, accusato del duplice omicidio dei due pregiudicati scomparsi a febbraio del 2011. Ha parlato per oltre due ore il sostituto procuratore analizzando pezzo per pezzo la delicata indagine condotta dai carabinieri e dai Ris di Messina per chiudere il cerchio nel caso di doppia lupara bianca. Ha chiesto la pena più dura per l’imputato: l’ergastolo e due anni di isolamento diurno.

Ad essere ammazzati in quel pomeriggio di febbraio sono due uomini vicini al clan Laudani, anzi Giuseppe Spampinato, una delle vittime, secondo il collaboratore ed ex reggente del clan, Giuseppe Laudani, era il referente della famiglia nel comune di Aci Catena.

L’udienza di oggi si è aperta con un fuori programma. Prima di dare la parola al pm il presidente della Corte D’Assise Rosario Cuteri ha voluto che Rosario Grasso analizzasse un album con 390 foto segnaletiche visto che durante il suo interrogatorio ha sollevato la questione che mai era stato sottoposto ad un riconoscimento fotografico. Ha sfogliato in silenzio il lungo fascicolo: alla fine però nessun colpo di scena. “Non ci sono facce che corrispondono ai tre che sono venuti quella sera all’Akis”. I tre che avrebbero fatto “irruzione” nel locale e avrebbero ammazzato Giuseppe Spampinato e Francesco Grasso a sangue freddo e poi avrebbero portato via i due cadaveri, minacciando l’imputato di “ucciderlo” se avesse aperto bocca. Il presidente chiede allora una descrizione all’imputato: corporatura robusta, sulla trentina, due con i capelli corti e uno con i capelli un po’ più lunghi, niente barba, alti sopra un metro e settanta. Il particolare: un accento strano. “Una parlata strana – dice Grasso – marcata”. Nei verbali si legge che gli ricordava qualcuno della zona pedemontana, Bronte, Randazzo o Piedimonte. Non della zona acese, insomma.

Parte la requisitoria: per Pacifico questo è “non è un processo indiziario”, ma ci sono tutti gli elementi “precisi e concordanti” richiesti dalla Cassazione per un caso di omicidio in cui non siano stati trovati i cadaveri. E la prima circostanza provata sono le tracce di sangue trovate nella scena del crimine grazie all’utilizzo del luminol: sui muri e sulle mattonelle dell’Akis. Sangue da cui è stato prelevato il dna che “era riconducibile – secondo il maggiore Romano dei Ris – con certezza assoluta a una delle vittime, Giuseppe Spampinato”.

E a questa certezza, il pm ne aggiunge altre. Ad esempio quella dell’appuntamento all’Akis il giorno della scomparsa dei due. Lo dimostrano le testimonianze dei familiari delle vittime che si sono costituite parte civile nel procedimento, i tabulati telefonici visto che le utenze si agganciano ad una cella telefonica che “copre” il territorio dove ricade l’agriturismo Akis e anche le stesse ammissioni dell’imputato. Secondo Grasso dovevano incontrarsi perché dovevano incassare una tranche del prestito usuraio di 20 mila euro, 4 mila euro circa la rata da consegnare, e inoltre dovevano organizzare il compleanno da festeggiare all’agriturismo.

E’ accaduto tutto prima delle 19.40 perché dopo il telefono si aggancia ad una cella di Riposto. E proprio a Riposto viene ritrovata la Bmw di Grasso, dove in un bracciolo c’è un secondo telefonino che la vittima utilizzava per parlare con una donna con cui avrebbe avuto una relazione extraconiugale.

L’attenzione degli inquirenti e anche degli stessi familiari si concentra immediatamente sull’agriturismo di Rosario Grasso. Era lui l’ultimo ad aver visto i due scomparsi. L’imputato però in un primo momento dirà che li aveva incontrati ma poi se n’erano andati, ma agli occhi degli inquirenti non sfuggono quelle strane differenze di pittura in alcune zone del locale e il luminol farà la differenza.

Scattano le manette e dopo un anno Rosario Grasso cambia versione e ritratta. Tre persone con il volto scoperto sarebbero entrate all’improvviso e uno dei tre avrebbe prima sparato un colpo di pistola, rumore che la moglie al piano di sopra avrebbe scambiato per la caduta di una pirofila in metallo, e poi con il calcio dell’arma avrebbe ucciso l’altro. Poi avrebbero messo i cadaveri nel portabagagli di un’audi scura e sarebbero scappati dal retro, portandosi anche la bmw. Il suo racconto? Una barzelletta secondo Pasquale Pacifico, dichiarazioni che presentano incongruenze e contraddizioni. E soprattutto sin dall’inizio Grasso, i figli Angelo e Filippo e la moglie Gabriele Pappalardo avrebbero depistato le indagini. Per i tre familiari del titolare dell’Akis il pm ha chiesto tre anni di detenzione per l’accusa di favoreggiamento.

“Non è un omicidio di mafia, ma lo scenario in cui si sviluppa questo duplice delitto è imperniato della mafiosità dei soggetti coinvolti”. Il pm nelle sue conclusioni non tralascia le connivenze e le vicinanze che ogni protagonista di questa vicenda ha nella criminalità organizzata e in particolare con i Laudani. Vittime, persone offese e l’imputato, per sua stessa ammissione. E poi elenca le frasi “incriminate” nelle intercettazioni dei colloqui in carcere con i familiari. “Non mi posso fare vent’anni di carcere al posto loro…” e poi “diglielo che se tuo padre parla se no possono scappare tutti…”. Esternazioni che Rosario Grasso durante il suo interrogatorio giustifica come “parole di sfogo, quando si è in carcere non si sa nemmeno cosa si sta dicendo…”.

Per arma del delitto, secondo gli investigatori, sarebbe stato usato quel pesante martello che dopo l’appuntamento con Spampinato e Grasso è scomparso dalla pizzeria. Nessun dipendente lo ha più visto.

Spampinato e Grasso sarebbero stati attirati in una trappola, secondo la ricostruzione dell’accusa. E il titolare dell’Akis sarebbe stato complice di un piano premeditato all’interno della criminalità locale e si guarda con vivo interesse verso il gruppo della Civita dei Santapaola. Sulla scorta anche delle dichiarazioni del pentito Pippo Laudani che racconta di un tentativo di Grasso di “avere la protezione” dal clan rivale.

 

 

 

 


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