CATANIA – Quattro minuti, dalle 19:32 alle 19:36. Secondo le indagini e le prove emerse nel corso del processo sulla sparatoria di Librino, lo scontro a fuoco tra Cursoti milanesi e uomini del clan Cappello dell’otto agosto 2020 durò quattro minuti. Alla fine dei quali Luciano D’Alessandro e Vincenzo Scalia erano morti, e altre sei persone erano ferite da armi da fuoco.
Alla ricostruzione di quei quattro minuti, di chi vi partecipò, del perché due clan rivali in città arrivarono a spararsi addosso in pieno giorno e in un centro abitato, è stato dedicato il processo Centauri. Nell’udienza di ieri il pm Alessandro Sorrentino, che con il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo rappresenta la pubblica accusa, ha dedicato la requisitoria del Pm proprio alla ricostruzione momento per momento della sparatoria e delle sue cause, definendo le responsabilità personali di ogni imputato e chiedendo tre ergastoli per i Cursoti milanesi coinvolti nello scontro.
Le cause della sparatoria di Librino
A come si è arrivati all’assalto dei Cappello alla roccaforte dei fratelli Sanfilippo in viale Grimaldi Sorrentino dedica la prima parte della ricostruzione dei fatti di quei giorni. Come emerso nel processo, e nel corso dell’udienza precedente nell’ambito della requisitoria letta in aula da Ignazio Fonzo, i Cursoti e i Cappello sono da tempo in contrasto per questioni criminali, come il controllo di alcune piazze di spaccio in città.
A questo si sommano motivi personali che nei giorni della sparatoria diventano sempre più tesi: una questione di donne fa litigare il figlio di Carmelo Distefano e Gaetano Nobile, molto vicino al clan Cappello. Proprio per questo litigio Distefano e un gruppo di affiliati ai Cursoti effettuano, il pomeriggio del 7 agosto, una spedizione punitiva ai danni di Nobile, nella sua attività in via Diaz.
Nobile si rivolge ai Cappello, ma per evitare che cresca la tensione Carmelo Distefano e Massimiliano Cappello concordano un incontro per il giorno dopo, otto agosto. Sempre la sera del 7 però Salvo Lombardo jr, dei Cappello, aggredisce in un locale Giorgio Campisi, figlio di Roberto Campisi, descritto come uno degli uomini fidati di Distefano. In seguito a questa aggressione, colpi d’arma da fuoco vengono sparati su una sala scommesse riconducibile ai Cappello, nel quartiere di San Cristoforo. Tutti segnali che non c’è nessuna intenzione di appianare le divergenze.
La preparazione, il pomeriggio dell’8 agosto
Già durante il mattino dell’otto agosto, ricostruisce il Pm Alessandro Sorrentino nella requisitoria, sia i Cappello che i Cursoti milanesi si preparano a un attacco ai rivali. I Cappello, secondo quanto raccontato dai diversi collaboratori di giustizia in un altro troncone del processo. si vedono la mattina a casa di Salvo Lombardo e pianificano una spedizione in scooter. L’obiettivo, secondo quanto è emerso nel dibattimento, è Carmelo Distefano.
I Cursoti, quella stessa mattina, sono tutti in massima allerta. Proprio Distefano convoca un incontro in casa di Carmelo Sanfilippo, uno dei fratelli che ha partecipato al pestaggio della sera prima, perché ci si aspetta un’azione di forza. È lo stesso Distefano a dirlo a Davide Agatino Scuderi, subito dopo l’aggressione a Nobile.
Per questo, prima ancora di vedere la colonna di scooter dei Cappello, i Cursoti sono già armati. Il pubblico ministero insiste più volte su questo punto: gli uomini di Distefano non si limitano a difendersi ma pianificano fin dal pomeriggio un contrattacco violento, una manifestazione di forza, e per questo reperiscono delle armi e si preparano.
L’arrivo dei Cappello in viale Grimaldi
Ma perché i Cappello arrivano in viale Grimaldi? In un primo momento quella tappa non è prevista, dato che l’obiettivo è Distefano, e proprio per questo la colonna di scooter in un primo momento passa da via Indipendenza, davanti al negozio di cellulari di Gaetano Distefano.
La decisione di prendere di mira viale Grimaldi arriva proprio quando i Cappello si rendono conto di non trovare nessuno degli esponenti dei Cursoti. Proprio in quei momenti notano per strada uno dei tre fratelli Sanfilippo, Antonino, che sta andando alla sua piazza di spaccio, e decidono di seguirlo.
La reazione dei Cursoti
Al gruppo di Carmelo Distefano, già armato e asserragliato in casa di Carmelo Sanfilippo, arriva la notizia che i Cappello stanno inseguendo uno dei loro uomini. A quel punto Distefano, Roberto Campisi, Carmelo e Michael Agatino Sanfilippo, Santo Tricomi, Davide Agatino Scuderi e Giovanni Nicolosi decidono di salire in macchina e dare la caccia ai rivali. Girano la zona, poi tornano in viale Grimaldi e cercano notizie di Antonino Sanfilippo anche da sua madre.
I Cappello arrivano in viale Grimaldi e i Cursoti entrano in strada con le loro due auto. Come dice Alessandro Sorrentino nella requisitoria, le auto arrivano in viale Grimaldi in un modo che sembra non casuale: appena arrivano in strada si trovano subito davanti la colonna dei Cappello, e “non è da escludere – dice il pubblico ministero – che i Cursoti si muovano quando sentono i motori degli scooter dei Cappello in arrivo”.
Gli spari
A quel punto è il caos: gli spari per strada in pieno giorno, con dei bambini che giocano in un campo da calcio poco distante. Campisi e Distefano sparano sporgendosi con il busto fuori da una delle auto, una Mini Countryman, mentre la Panda blu scuro in testa investe uno scooter. Dall’auto scura scendono gli occupanti, tra cui Carmelo Sanfilippo, che ha sempre sostenuto di avere sparato in aria e di essere subito scappato.
Su uno degli scooter che cadono a questo punto c’è anche Luciano D’Alessandro, uno dei due morti in viale Grimaldi. Il quale è colpito da un colpo di una pistola 9 millimetri, che ha sparato, secondo il medico legale, da sinistra a destra e dal basso all’alto. “Posizione incompatibile con quella di Sanfilippo – dice il pm nella requisitoria – che è sceso dal lato del conducente e che sta fuggendo, è molto difficile che sia riuscito a mettersi sul lato destro della carreggiata. Mentre è una posizione più compatibile con quella di Distefano, sceso dalla Mini proprio dal lato destro”.
L’altro uomo ucciso in viale Grimaldi, Vincenzo Scalia, è raggiunto da tre colpi di pistola, di cui uno fatale. I colpi sono di una pistola 9×21 o di una calibro 38, compatibili dal punto di vista dei fori prodotti. I bossoli di una 9×21 e di una 38, racconta sempre Alessandro Sorrentino nel corso della requisitoria, sono stati ritrovati in una zona della scena del crimine in cui, secondo le varie testimonianze dei collaboratori, si trovavano Roberto Campisi e Carmelo Distefano.
Altri colpi sono sparati in viale Grimaldi. Rosario Viglianisi, uomo vicino ai Cursoti, è raggiunto da tre proiettili 7,65, i quali erano utilizzati dai Cappello.
Dopo la sparatoria
Dopo due scambi a fuoco entrambi i gruppi si ritirano. I Cursoti vanno al 7 di viale Grimaldi, lasciano la Panda con dentro le armi, dicono di salire al quarto piano a chiedere aiuto a una certa signora Teresa, la quale, sentita in udienza, ha negato di avere ricevuto il gruppo di fuoco.
Distefano a questo punto si ricorda di dovere andare a firmare al commissariato, una delle misure a cui è sottoposto dopo la sua scarcerazione, e va a firmare tra le 20:15 e le 20:30, orari compatibili con la sua presenza in viale Grimaldi.